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Come aprire una zona d'aria pulita nella tua città: ecco la guida "dei sindaci"
Dai dati alle scelte politiche, attraverso la partecipazione dei cittadini: le zone a bassa emissione sono uno strumento di pianificazione urbanistica contro l’inquinamento e il traffico. Ecco la “cassetta degli attrezzi” che il gruppo delle Città C40 mette a disposizione di amministratori, associazioni e stakeholder pubblici per creare quartieri “a prova di polmoni”
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Il C40 Cities Climate Leadership Group è un consorzio di 96 città del mondo che lavora per contrastare l’inquinamento atmosferico e rendere l’aria delle nostre strade più respirabile. Ne fa parte una rete globale di sindaci uniti contro la crisi climatica in un’azione inclusiva, collaborativa e basata sui dati scientifici per dimezzare la quota di emissioni entro il 2030, aiutare il pianeta a contenere il riscaldamento a 1,5 °C e costruire comunità salubri, giuste e resilienti. Tra gli obiettivi di questo gruppo vi è la costruzione di un movimento globale, attraverso un robusto sostegno e la diplomazia internazionale, per diffondere su larga scala l’azione per il clima e condividere le best practice attraverso settori ad alto impatto.
Tra le metropoli C40 molte hanno già modificato la propria mobilità in senso più restrittivo, limitando la circolazione delle macchine. Altre hanno aumentato gli spazi pedonali e incentivato la mobilità dolce. La ricetta non è mai la stessa, ma la volontà politica coincide: l’inquinamento atmosferico ha ricadute pesantissime sulla salute pubblica, e un traffico congestionato non aiuta certo a ridurre i tempi di percorrenza. Secondo il C40 è tempo di invertire la rotta: senza improvvisazioni, ma al contrario affidandosi a strategie collaudate in grado di garantire solidi risultati.
Per aiutare le città a progettare le proprie zone pulite, il C40 ha messo a punto un articolato documento di linee guida destinato ad amministrazioni e decisori pubblici il “Clean Air Zone Toolbox” (“Cassetta degli attrezzi per una zona ad aria pulita”, Ndr). Le modalità per dare vita alle zone a bassa emissione, anche chiamate zone ad aria pulita, zone a basso traffico, zone a traffico limitato, o persino a zero emissioni nei casi in cui il passaggio delle auto venga completamente vietato, sono infatti variegate.
Lo testimoniano le stesse città del C40: a Londra, ad esempio, la zona d’aria pulita è molto estesa, attiva 24 ore su 24 e prevede un pedaggio di entrata. Parigi, al contrario, punta sull’aumento delle piste ciclabili e sulla trasformazione dei parcheggi su strada in capillari aree verdi, mentre Quito ha incentivato la pedonalizzazione e le auto elettriche. Oltre al contrasto delle emissioni, alcune amministrazioni hanno preso in carico misure mirate per combattere gli effetti nefasti della combustione di rifiuti solidi, dei combustibili per cucinare e delle emissioni industriali.
Come orientarsi, dunque, tra questo ampio ventaglio di possibilità? C40 suggerisce, nel suo toolbox, di partire da una fase strategica fondamentale: quella della valutazione dettagliata delle proprie necessità (assessment). La griglia di domande elaborate dai suoi esperti permette di indagare sotto molteplici punti di vista la realtà sul terreno. Quali sono i principali inquinanti? Come è ripartita la demografia locale? Qual è la popolazione più esposta agli inquinanti, e quali le fasce più vulnerabili che ne subiscono maggiormente le conseguenze? In quanti, nei loro spostamenti, dipendono da un veicolo privato? E quale può essere l’impatto di una riduzione dell’accesso del traffico sulla vitalità sociale ed economica di una specifica area?
Una volta in possesso dei dati, la consapevolezza diventa più radicata e le scelte politiche tendono ad essere più chiare: è il momento della progettazione partecipata, sia attraverso il coinvolgimento dei cittadini che la creazione di focus group, e ancora della definizione della policy e dei migliori approcci per implementarla.
In questa fase di progettazione, la municipalità può optare per la chiusura di una zona al traffico, oppure limitarsi ad alcune strade specifiche. Alcuni parametri possono guidare l’individuazione dei criteri di accesso: se in alcuni casi possono essere bandite tutte le macchine, in altre si può restringere il passaggio ai veicoli più inquinanti o a tutti i veicoli a combustione interna, privilegiando di fatto il traffico dei mezzi elettrici, ivi compresi quelli cargo per la distribuzione della merce. Altra opzione, quella di scommettere sui disincentivi economici: una Clear air zone può essere associata al pagamento di pedaggio, di fatto scommettendo sull’effetto dissuasivo dei costi da sostenere.
Alcuni suggerimenti riguardano invece i criteri per scegliere la localizzazione delle zone d’aria pulita. La raccomandazione, in questo caso, è quella di cominciare dalle aree dove la densità della popolazione e l’inquinamento dell’aria sono i più alti, così da massimizzare l’impatto sulla cittadinanza e fare leva sui risultati raggiunti per capitalizzare il consenso. Non sono disdegnati neanche i programmi volontari e basati sugli incentivi, che si rivelano particolarmente adatti nel caso in cui specifici vincoli legali vietino politiche basate sulle restrizioni di accesso. E perché la psicologia gioca la sua parte, il C40 suggerisce di non optare per quello che chiama un approccio “big bang”: meglio non imporre un cambiamento drastico, ma preferire, al contrario, l’introduzione graduale delle misure selezionate.
Naturalmente, una politica basata unicamente sulla restrizione delle opportunità di accesso non può, da sola, conquistare la fiducia di quanti tra i cittadini sono scettici su misure che cambiano in maniera anche radicale il loro quotidiano. È importante, dice allora il C40, compensare con nuovi servizi quanto è stato tolto, cominciando dal potenziamento dei trasporti pubblici, da percorsi per i pedoni e per le bici che garantiscono la loro sicurezza, e da centraline per ricaricare tutti i mezzi elettrici. Ancora, il settore pubblico è chiamato a dare il buon esempio: a poco servirebbe adottare politiche per la decarbonizzazione dei mezzi di trasporto privati se i nuovi autobus comunali non fossero elettrici, ad esempio.
Ad oggi, sono 320 le zone d’aria pulita in Europa. Moltissime altre città, dall’America all’Asia, sono parte attiva del movimento, contribuendo alla discussione globale e studiando come mettere a frutto l’expertise che il C40 e la sua comunità mettono a disposizione. Gli amministratori delle città C40 si riuniscono regolarmente per scambiare linee guida e monitorare le misure implementate, così da riorientare continuamente le soluzioni applicate sul campo a seconda della loro efficacia. Un impegno sulla durata che, lo confermano le statistiche, finisce per conquistare i cittadini, a dispetto delle polemiche iniziali, con sondaggi che, da Bogotá a Johannesburg, da Londra a Seattle e Seoul, sembrano plebiscitare le politiche adottate.
La mobilità come motore di inclusione sociale nelle città
Le infrastrutture e i servizi di mobilità che collegano le periferie ai centri urbani assicurano l’equità sociale e aiutano a superare la marginalizzazione. Il sistema dei trasporti può essere cruciale per promuovere la partecipazione sociale e ridurre le disuguaglianze
La mobilità come motore di inclusione sociale nelle città
Le infrastrutture e i servizi di mobilità che collegano le periferie ai centri urbani assicurano l’equità sociale e aiutano a superare la marginalizzazione. Il sistema dei trasporti può essere cruciale per promuovere la partecipazione sociale e ridurre le disuguaglianze
Secondo la definizione della Banca Mondiale, per inclusione sociale si intende il miglioramento delle condizioni in cui singoli individui e gruppi prendono parte alla società. Capita spesso, infatti, che non tutti partecipino a pieno alla vita politica, economica e sociale. Questa esclusione si può pagare a caro prezzo, sia a livello personale che di intera nazione. Le barriere sono solitamente radicate nei mercati del lavoro, nei quadri giuridici o nei sistemi sanitari mal concepiti, nonché in atteggiamenti o percezioni discriminatorie.
Questi aspetti occupano da sempre un posto di rilievo nelle agende sociali e politiche. C’è però un altro ambito, finora piuttosto trascurato, che sta acquisendo nuovo slancio: quello dei trasporti e della mobilità. L’esclusione sociale dovuta alla carenza di reti di trasporto è un tema di discussione a svariati livelli, dai consigli comunali ai forum internazionali.
Qualche spunto di riflessione
Il Forum internazionale dei trasporti (FIT), unico organismo globale a interessarsi di qualunque modalità di trasporto, ha posto l’inclusività all’apice del suo programma. Dal 18 al 20 maggio si è tenuto a Lipsia, in Germania, il vertice annuale dei ministri dei trasporti di tutto il mondo, con il motto: “Sistemi di trasporto per società inclusive”. La Presidenza marocchina ha dato priorità a diversi aspetti del tema dell’inclusione: dalla connettività per le comunità rurali al divario digitale, dalla diversità della forza lavoro nel settore dei trasporti ad un’attività di pianificazione e progettazione inclusiva.
Primo incontro tenutosi di persona dallo scoppio della pandemia di COVID-19, il summit è stata l’occasione perfetta per promuovere la transizione verso una mobilità più accessibile per tutti. Come ha sottolineato la rappresentante marocchina Larbi Fahim, Capo del dipartimento dei lavori stradali: «L’inclusione è un aspetto fondamentale delle società sostenibili, perché consente di partecipare pienamente alla vita di una comunità».
Il premio “Giovane ricercatore dell’anno”, assegnato annualmente dal FIT, è andato questa volta a Malvika Dixit, Ricercatrice di dottorato presso la Delft University of Technology. Il suo studio sugli effetti della progettazione del trasporto pubblico sull’equità riflette alla perfezione le parole di Larbi Fahim. Malvika Dixit ha attinto da un database di dati sulle smart card relativi a tutti i viaggi effettuati sulla rete di trasporto pubblico e li ha combinati con i dati sul reddito a livello di quartiere. Ne è emerso che i residenti delle aree periferiche a bassa densità devono percorrere tragitti più tortuosi, spendendo di conseguenza di più anche per i biglietti. La ricerca ha dimostrato un nesso profondo tra reddito e complessità dei tragitti: ad Amsterdam gli utenti dei mezzi pubblici nei quartieri a reddito prevalentemente elevato possono contare su percorsi più diretti, il che si traduce in distanze – e quindi costi – inferiori.
L’effetto combinato ha aggravato la disparità di reddito tra le fasce della popolazione più e meno abbienti, alimentando così le disuguaglianze di una società già divisa.
Cosa fare? Consigli utili per una mobilità inclusiva
Il Forum Economico Mondiale ha unito le forze con il Boston Consulting Group e l’Università di San Gallo, in Svizzera, per pubblicare a dicembre 2021 un Libro bianco sul contributo delle varie forme di mobilità all’inclusione e alla crescita sostenibile nelle città globali.
Sono state analizzate tre diverse città che rappresentano gli archetipi urbani più comuni: la policentrica Berlino, l’autocentrica Chicago e la megalopoli ad alta densità di Pechino. Le tre città condividono alcuni punti deboli, come la congestione del traffico e la presenza di quartieri isolati e poco serviti. In base agli esempi di queste aree metropolitane, i ricercatori hanno elaborato cinque imperativi a cui i responsabili decisionali dovrebbero attenersi per creare una mobilità socialmente più inclusiva.
In primo luogo, il miglioramento dell’inclusività dovrebbe rappresentare una priorità assoluta nella pianificazione e progettazione della rete di trasporti urbani. Perché la mobilità sia realmente inclusiva, bisogna adattare i sistemi alle persone con disabilità e a chi proviene da contesti socio-economici sfavoriti.
In secondo luogo, i gestori dei trasporti dovrebbero tenere conto sia della domanda che dell’offerta. Come hanno scoperto le autorità di Chicago, limitarsi ad aumentare la frequenza dei treni notturni e ad aggiungere linee di transito non determina necessariamente un incremento del flusso di passeggeri. Queste misure devono andare di pari passo con una reale comprensione della domanda e delle preferenze degli utenti.
Il terzo punto riguarda lo sviluppo di sistemi di mobilità più innovativi e multimodali, che sfuggano alla logica binaria delle automobili da un lato e del trasporto di massa dall’altro. Le recenti innovazioni nel campo della mobilità, come le navette a richiesta, le offerte di micromobilità (ad es. biciclette, scooter) e le applicazioni di car-sharing, svolgono un ruolo sempre più importante nel “puzzle della mobilità” urbana.
Bisogna inoltre coinvolgere la comunità nel processo decisionale. Tutti gli studi dimostrano che l’infrastruttura dei trasporti viene progettata meglio con i consigli e i riscontri delle comunità locali. Infine, ma non certo per importanza, la raccolta di dati e l’esecuzione di progetti pilota di mobilità sono l’unica garanzia di successo per iniziative davvero scalabili. I programmi pilota garantiscono un’analisi approfondita della soluzione scelta e aiutano a identificare i possibili ostacoli.
Mobilità inclusiva significa società equa
Come sottolinea il Libro bianco del Forum Economico Mondiale, la maggior parte dei sistemi di trasporto ha lo stesso aspetto e funziona esattamente come negli anni ‘50, quando la società però era radicalmente diversa. Solo ora i responsabili delle decisioni iniziano a comprendere il ruolo fondamentale dei trasporti per fornire posti di lavoro, accesso all’istruzione e a un’assistenza sanitaria di qualità e, di conseguenza, per favorire la crescita socio-economica e l’equità sociale. La mobilità non è solo un modo per spostare le persone da un luogo a un altro, è un modo per farle avanzare lungo la scala sociale. Ecco perché lo sviluppo del giusto approccio a un trasporto urbano equo occuperà un posto sempre più rilevante nelle agende politiche dei prossimi decenni.
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