Nel 2022 sono state vendute 10,5 milioni di vetture elettriche nel mondo, 2,6 milioni in Europa. Siamo nel punto più ripido della curva di adozione, quello in cui l'elettrificazione prende piede su vasta scala: nel 2022 le vendite sono cresciute del 55%. A questo bisogna aggiungere l'effetto dei vari piani di decarbonizzazione, come il via libera del Parlamento europeo al bando della vendita di auto a combustione interna entro il 2035, e i pacchetti di incentivi come l'Inflation Reduction Act votato dal Congresso degli Stati Uniti. Le previsioni ci dicono che alla fine di questo decennio le auto elettriche vendute ogni anno in Europa saranno 10 milioni, quell'anno lo stock globale arriverà a 350 milioni. Una vittoria per il clima, ma anche una nuova sfida ecologica e industriale: cosa faremo di tutte quelle batterie, una volta che smetteremo di usarle?
La batteria è la parte più pregiata ed ecologicamente problematica di un'auto elettrica, è piena di metalli critici dal punto di vista delle catene del valore e potenzialmente nocivi per l'ambiente. Oggi solo il 5% viene riciclato, perché le tecnologie e le filiere non sono ancora pronte. Per fortuna il parco auto elettriche dismesse è ancora basso: la durata di vita media di una batteria è di circa 15 anni e oggi devono essere smaltite quelle entrate sul mercato più di un decennio fa, quando ne venivano vendute all'anno nell'ordine delle centinaia di migliaia e non dei milioni. Il fattore tempo però è cruciale: l'industria deve farsi trovare pronta quando la prima ondata di rottamazioni elettriche arriverà.
Non ci sono alternative a questa forma di economia circolare. Dal punto di vista ambientale la sfida è duplice: bisogna evitare che i materiali finiscano negli ecosistemi e anche ridurre l'impatto dell'industria mineraria. La domanda dei metalli critici per far funzionare le batterie diventerà sempre più alta, ma l'estrazione di litio, nickel, cobalto e manganese ha un prezzo ecologico elevato, per non parlare dell'impatto sui diritti umani. Due terzi del cobalto vengono da un solo paese, la Repubblica Democratica del Congo, dove le condizioni di lavoro nelle miniere sono devastanti. E poi c'è il tema delle catene del valore: la geografia di questi metalli è geopoliticamente problematica per aree come l'Unione europea, che non dispongono di queste risorse in quantità anche solo lontanamente sufficienti e quindi sono essere costrette a importarle, con l'effetto di sostituire le dipendenze fossili con nuove dipendenze.
Per questo motivo alla fine del 2022 l'Ue ha votato la sua “Battery Law”, con i requisiti che i produttori devono rispettare per immettere batterie sul mercato comunitario. Secondo i nuovi target, dal 2027 devono essere in grado di recuperare il 50% del litio e il 90% del nickel e del cobalto dalle batterie commercializzate. Nel 2031 tali quote saliranno al 95% di nickel e cobalto e all'80% di litio.
Come sottolinea la Ong Transport & Environment, queste regole permetteranno al mercato europeo di svincolarsi da filiere poco sostenibili dal punto di vista climatico e sociale. La Cina oggi è il maggior produttore globale, ma l'energia usata nelle sue gigafactory (le fabbriche di batterie) viene ancora dal carbone, la fonte più tossica per l'atmosfera. Alla fine del decennio i consumatori saranno inoltre in condizione di conoscere l'impronta climatica delle batterie lungo tutto il ciclo di vita, dalla produzione fino allo smaltimento.
Non basteranno però gli standard e le leggi a mettere in piedi un'industria del riciclo delle batterie. Lo sviluppo del settore è in fermento, attira investimenti ed è popolato da startup innovative, ma è anche rallentato da ostacoli. Il primo è proprio la mancanza di batterie da riciclare. Come hanno spiegato Niraj Chokshi e Kellen Browning sul New York Times «le aziende devono investire oggi sui macchinari, per non perdere terreno, ma se lo fanno troppo velocemente rischiano di bruciare troppe risorse senza che arrivino in tempo abbastanza batterie da riciclare».
Un dilemma non facile. Il secondo è l'assenza di standard produttivi universali: la competizione tra i produttori di automobili per garantire durata ed efficienza fa sì che ognuno produca batterie secondo una ricetta diversa, con formulazioni e tecnologie coperte da segreto industriale. Inoltre, oggi non sappiamo quale sarà lo standard tecnologico delle batterie tra un decennio. Le più usate oggi sono a ioni di litio, con il dosaggio degli altri metalli (cobalto, nickel, manganese) che varia da un produttore all'altro. All'orizzonte c'è l'arrivo di modelli diversi, come quelle al sodio, che nel 2022 hanno visto un picco di risultati sulla ricerca. Il rischio è di costruire oggi filiere per tipologie di batterie che tra un decennio non saranno più dominanti sul mercato.
In ogni caso, la rivoluzione dell'economia circolare nell'industria dell'auto elettrica sta avvenendo, con un vasto ventaglio di soluzioni. Nissan sta usando le vecchie batterie dei modelli Leaf per alimentare i veicoli a guida autonoma che operano nelle fabbriche automatizzate, e ha avviato una partnership con una startup, Relyion, per riutilizzarle nello stoccaggio di energia negli edifici, funzione per la quale hanno più di un decennio di vita dopo che non sono più usabili in un'auto.
Volkswagen ha fatto partire il progetto pilota di un centro di riciclo a Salzgitter, in Germania. Renault ha creato un consorzio di riciclo insieme a un'azienda che si occupa di rifiuti, la francese Veolia, e una chimica, la belga Solvay. Tra gli esempi più promettenti c’è quello della svedese Northvolt e della norvegese Norsk Hydro, che hanno aperto la principale fabbrica europea per il riciclo delle batterie, con una capacità già di 125mila tonnellate all'anno ed è l'unica in grado di riciclare su scala anche il litio (che ha procedimenti più complessi) oltre a nickel, manganese e cobalto. Oggi riciclano 25mila batterie l'anno, arriveranno a 150mila nel 2025 e a mezzo milione nel 2030: è questo il tipo di crescita che serve per assicurarci che i nuovi trasporti privati sostenibili non replichino vecchi disastri.