Per l'Europa è il momento di prendere decisioni significative nel settore dell'auto

Per l'Europa è il momento di prendere decisioni significative nel settore dell'auto

«Tra dazi, AI e transizione: così restiamo in corsa per l’auto elettrica»

Dalle nuove tecnologie alle scelte di investimento, dai mercati più promettenti allo stato delle infrastrutture di ricarica: Francesco Naso, segretario generale di Motus-E, fotografa il momento dell’automobile elettrica, offrendo una chiave di lettura per una strategia di sviluppo

«Superiamo la neutralità tecnologica con la pluralità tecnologica, che vuol dire utilizzare tutte le tecnologie disponibili, ma nell’ambito di applicazione in cui si siano dimostrate le più efficaci ed efficienti. È tempo per l’Italia e l’Europa di fare scelte concrete sul settore auto. Nei prossimi tre anni ci giochiamo il futuro dell’industria a quattro ruote, le market share vere e l’approdo dell’elettrico al mass market». Nel mezzo della transizione energetica di settore e in un contesto commerciale esasperato dai daziFrancesco Naso, Segretario Generale di Motus-E, associazione costituita da operatori della filiera automotive e mondo accademico, fotografa per Infra Journal il momento delicato dell’auto a livello mondiale, suggerendo una strategia per dare la scossa al mercato elettrico in Italia.
 

Qual è lo stato dell’arte in Europa nel mondo auto? 

«È un mercato fondamentalmente molto maturo che sta perdendo volumi dal post-Covid e che difficilmente recupereremo, anche a causa di una importante crescita dei prezzi. In parallelo, il prezzo medio delle elettriche sta scendendo anche se, soprattutto nei segmenti più bassi, il differenziale con le controparti endotermiche ancora non si è azzerato».

Un trend che può cambiare? 

«È solo questione di tempo, i prezzi delle elettriche tenderanno ancora a scendere grazie alle economie di scala e ai progressi tecnologici incrementali. Vedremo sempre più modelli sotto la soglia dei 25mila euro. Ne stanno già arrivando diversi sul mercato e cambieranno senz’altro lo scenario nei prossimi 3-4 anni».

Extra Ue qual è la situazione? 

«Cina e India sono in crescita con potenzialità enormi e prospetti giganteschi di penetrazione dell’elettrico. In Cina un’auto su due ha la spina (i cosiddetti “new energy vehicles”, di cui la metà senza motore endotermico) e parliamo di un mercato che supera 20 milioni di veicoli, il più grande al mondo. Quindi chi aveva uno sbocco in Cina, come i tedeschi, deve accelerare sull’elettrificazione per preservare quote di mercato, perché c’è una forte concorrenza locale».

C’è un gap anche tecnologico? 

«Sì, soprattutto sul piano del software. Sulla base delle piattaforme elettrificate il trend di digitalizzazione delle auto sta rivoluzionando il settore e l’industria europea deve recuperare terreno su software, intelligenza artificiale e servizi connessi».

Come impattano i dazi in questo scenario già complesso? 

«Le aziende europee saranno colpite, ma anche quelle Usa. L'Europa deve fare l'Europa, con una risposta comunitaria che si gioca sulla partita delle alternative e sulla ricerca di partner, anche in Asia, per lo sviluppo congiunto di elettrificazione ed elettrificazione».

L’Action plan europeo aiuta? 

«Per il momento si tratta ancora di un piano “vuoto” che suggerisce e consiglia, raccomanda, ma ancora non si concretizza in una strategia chiara. Non ha obiettivi, responsabilità, né budget. Un piano ancora incentrato sulla neutralità tecnologica che non possiamo più permetterci. Inoltre, la gestione delle multe CO₂ non ha contribuito a creare chiarezza per l’industria, che è un aspetto fondamentale per chi è chiamato a investimenti molto ingenti. Ora serve un ambiente certo e prevedibile».

Non si salva niente?

«Le indicazioni su fondi europei più snelli per le batterie, fondi non legati al capex di investimento, ma una volta partita la produzione al kilowattora prodotto. È una buona cosa, significa che solo chi è davvero pronto industrialmente con un progetto che va a terra potrà ottenere i fondi».

Cosa serve a questo punto? 

«Dobbiamo cominciare a parlare di quali sono le tecnologie da sviluppare senza nasconderci dietro alla neutralità tecnologica, che non fornisce indicazioni certe a chi deve investire in un contesto in cui invece la traiettoria tecnologica a livello globale è molto chiara e porta all’elettrificazione della mobilità. Dobbiamo fare una scelta mirata e investire».

Su quali prodotti? 

«Bisogna continuare a puntare su prodotti meno costosi e abbiamo individuato un target potenziale: auto da 400 km di autonomia sotto i 25mila euro e con 180 kW di potenza di ricarica. Questo coprirebbe tutti gli spostamenti europei, se supportati da una rete di ricarica adeguata in tutto il Continente. Di fatto dei B-Suv, molto richiesti dal mercato, che dobbiamo elettrificare».

E come si aumenta la market share? 

«Il mercato italiano non può più essere al 4-5%, dobbiamo concentrarci in primis sulle flotte aziendali che hanno chilometraggio più prevedibile e spesso si ricaricano in azienda. Dopo 3-4 anni inoltre finiscono sul mercato dell’usato che è fondamentale per sviluppare l’adozione dell’elettrico».

C’è una strada per spingere in questa direzione? 

«Con la fiscalità. Le aziende devono trarre vantaggio dall’adozione dell’elettrico con una nuova deducibilità che avrebbe un costo assolutamente sostenibile per lo Stato». 

C’è un tema di infrastrutture? 

«In Italia siamo sulla strada giusta, anche se il lavoro non è ancora finito. Sicuramente non può essere più considerato un ostacolo importante per il passaggio alla mobilità elettrica. I capitali privati ci sono, sono stati effettuati investimenti enormi, e si sta costruendo la rete necessaria. L’Italia sarà dotata entro il 2035 di un’infrastruttura che conterà tra i 198mila e i 239mila punti di ricarica a uso pubblico per i veicoli elettrici, grazie a investimenti privati fino a 4 miliardi di euro, affiancati da oltre 5 milioni di punti di ricarica tra domestici e aziendali. Certo, il tasso di utilizzo è ancora troppo basso e questo non aiuta i prezzi della ricarica (che deve ripagare l’asset)». 

Quali sono i rischi di un ulteriore stallo?  

«Diventeremo un mercato residuale, con le tecnologie più vecchie e senza investimenti. Il rischio industriale è enorme e non è solo quello di non vendere elettriche, perché attorno ad esso ci sono altri business come quello della guida autonoma, per esempio. La mobilità elettrica e connessa è una rampa di lancio per l’industria della robotica di nuova generazione».

Quali sono le vostre stime a tendere sull’elettrico in questo momento?

«Per il 2025 vedo una market share italiana sotto al 10% con l’Europa meglio, sopra il 15%. In uno scenario conservativo stimiamo che al 2030 circoleranno in Italia 2,6 milioni di veicoli elettrici e 1,2 milioni di ibridi plug-in. Nel 2035 saranno rispettivamente 8,6 e ancora 1,2 milioni di unità. Passando allo scenario accelerato, stimiamo al 2030 un parco circolante di 3,6 milioni di veicoli elettrici e 1 milione di ibridi plug-in, che al 2035 salgono rispettivamente a quota 10,4 e 1 milione di unità».


[Foto di Saketh su Unsplash]


Sofia Fraschini - Giornalista economico-finanziaria, laureata in Sociologia a indirizzo Comunicazione e Mass media, ha iniziato la sua carriera nel gruppo Editori PerlaFinanza (gruppo Class Editori) dove ha lavorato per il quotidiano Finanza&Mercati e per il settimanale Borsa&Finanza specializzandosi in finanza pubblica e mercati finanziari, in particolare nei settori Energia e Costruzioni. In seguito, ha collaborato con Lettera43, Panorama, Avvenire e LA7, come inviata televisiva per la trasmissione L’Aria che Tira. Dal 2013 lavora come collaboratrice per la redazione economica de Il Giornale e dal 2020, per il mensile del sito Focus Risparmio di Assogestioni.

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