Come siamo arrivati ai dazi Ue sulle auto elettriche fatte in Cina

L'Unione europea ha votato a favore dei dazi doganali sulle auto elettriche cinesi. La misura mira a proteggere l'industria dell'automobile in Europa, ma all'orizzonte c'è il rischio di una guerra commerciale con Pechino e non tutti i paesi dell'Ue sono d'accordo. Ecco cosa può succedere ora

La sede della Commissione europea a Bruxelles

Il dato è tratto. La Commissione Europea ha ottenuto il via libero definitivo all’imposizione di dazi in entrata sui veicoli elettrici prodotti in Cina. La norma, risultato di una lunga indagine condotta dagli organismi preposti, è entrata in vigore il 31 ottobre, dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Se Bruxelles e Pechino non raggiungeranno un accordo alternativo, le tariffe doganali verranno applicate per i prossimi cinque anni.

Lo scenario

La decisione europea di applicare a tutti i veicoli elettrici prodotti in Cina una tariffa in entrata rappresenta solamente uno degli aspetti di una più ampia contrapposizione commerciale tra i due Paesi e che riguarda l’intero settore delle tecnologie “green” (dal fotovoltaico alle batterie).

Le istituzioni europee sono infatti convinte che i sussidi statali di cui beneficiano i cosiddetti “clean tech producers” cinesi non rispettino le regole sul commercio internazionale sancite in seno all’Organizzazione mondiale del commercio e possano costituire, di fatto, dumping”: attraverso sovvenzioni governative, le aziende con filiera produttiva in Cina sarebbero in grado di introdurre, all’interno del blocco dei Ventisette, merci (tra cui, per l’appunto, vetture elettriche) a un prezzo molto inferiore rispetto a quello di mercato, con il rischio che la concorrenza venga alterata, con importanti conseguenze per il comparto industriale europeo.

Guardando ai soli veicoli elettrici, la Commissione Europea ha avviato un’indagine durata otto mesi per stabilire se gli incentivi del governo di Pechino rappresentino effettivamente una forzatura del mercato. Per i funzionari UE, la risposta è positiva. Secondo l’analisi, le aziende produttrici di auto elettriche in Cina riceverebbero aiuti lungo tutta la catena del valore: dalla disponibilità di terreni a basso costo per gli stabilimenti alla fornitura a importi calmierati di litio e batterie; dalle agevolazioni fiscali alla possibilità di ricevere finanziamenti a tasso ridotto dalle banche statali.

I costi di produzione sarebbero, di conseguenza, contenuti. I dati, in tal senso, sembrano parlare chiaro: dal 2020 al 2023 la quota di mercato delle auto elettriche prodotte in Cina è passata dal 3,9% al 25%. Questo a fronte di una produzione europea piuttosto limitata: secondo l’analisi condotta dalla Bank of America, le maggiori case automobilistiche del Vecchio Continente faticano a tenere il passo, cedendo terreno di anno in anno. Costi di produzione elevati, che si riflettono in prezzi di vendita più alti per i consumatori, e limitata disponibilità di nuovi modelli minano gli acquisti e anche la possibilità di completare il percorso verso una mobilità interamente verde entro l’orizzonte temporale stabilito.

Nel giugno 2024, la Commissione ha reso nota la volontà di imporre una tariffa in entrata per i veicoli elettrici prodotti in Cina, ottenendo a inizio ottobre il supporto del Consiglio per procedere. Il testo di legge è stato poi tradotto nell’“implementing regulation” votata qualche settimana fa.

I contenuti della norma

Secondo quanto legiferato dagli organismi UE, i dazi in entrata per i veicoli elettrici prodotti in Cina non sono univoci: cambiano, infatti, da azienda ad azienda, con importi maggiori per tutte quelle compagnie che non hanno preso attivamente parte all’indagine. Per le vetture del gruppo BYD la tariffa è fissata al 17%, per quelle del gruppo Geely al 18,8%, percentuale che sale al 35,3% per i veicoli prodotti da SAIC, azienda di stato.

Tesla, che conta numerosi stabilimenti in Cina, ha ottenuto, dopo una valutazione individuale, un dazio del 7,8%. Per tutti gli altri produttori che hanno partecipato alle consultazioni con i funzionari UE l’aliquota è al 20,7%. Per chi, invece, non ha avuto nessun ruolo all’interno dell’indagine la percentuale è fissata al 35,3%, il tetto massimo previsto. A questi dazi va aggiunta la tariffa del 10%, standard a livello comunitario, per l’importazione di automobili. Per alcuni dei veicoli elettrici prodotti a Pechino, il dazio complessivo in entrata può quindi aggirarsi attorno al 45%

Gli schieramenti

La reazione di Pechino non si è fatta attendere: non più tardi del 30 ottobre, infatti, il governo cinese ha dichiarato di aver presentato un’istanza di reclamo nei confronti della decisione europea presso l’OMC, come previsto dal meccanismo di risoluzione delle controversie dell’istituzione. Bruxelles si è detta disponibile a continuare il dialogo diplomatico portato avanti in questi mesi con la controparte cinese per arrivare a una soluzione alternativa ai dazi. I timori che altri prodotti europei possano essere oggetto di contromisure cinesi sono considerevoli, soprattutto dopo la recente decisione di Pechino di tassare il brandy proveniente dall’UE.

Le questioni interne al blocco dei 27 non devono poi essere dimenticate: il voto sui dazi ha infatti evidenziato una spaccatura tra attori solitamente allineati. La Francia – così come l’Italia, la Polonia, i Paesi Bassi, l’Irlanda, la Bulgaria, la Danimarca, l’Estonia, la Lettonia e la Lituania – si è espressa a favore, mentre la Germania – con Malta, l’Ungheria, la Slovacchia e la Slovenia, ha votato contro. La Spagna, invece, si è astenuta. Quello che preoccupa i maggiori produttori europei di automobili è la possibilità che aziende cinesi, per evitare le tariffe in entrata, possano decidere di trasferire la propria produzione in Europa, minando ulteriormente il settore. I contatti tra Bruxelles e Pechino, intensificatisi alla luce del recentissimo esito delle elezioni presidenziali statunitensi, si stanno quindi concentrando sulla possibilità di definire un prezzo minimo alle importazioni: secondo tale strategia, le vetture elettriche cinesi verrebbero a costare di più e le condizioni per un’equa concorrenza sarebbero ristabilite, con la contemporanea eliminazione delle tariffe in entrata.


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