Le notizie sulla morte della globalizzazione sono state fortemente esagerate. Ce lo dimostra la crisi dei semiconduttori. Questa crisi, esplosa nel 2020, perdurerà probabilmente per almeno tutto il 2022 a causa della l’alta richiesta di semiconduttori e della scarsità della fornitura. Come è potuto succedere? C’è una via di uscita?
Dopo il declino registrato negli anni 2018 e 2019, i modelli di domanda sono cambiati drasticamente nel 2020 a causa del Covid-19. Quando è scoppiata la pandemia e centinaia di milioni di persone sono state messe in lockdown, la richiesta di computer, smartphone e altri dispositivi elettronici di consumo è esplosa, in un momento in cui anche i produttori stavano affrontando le limitazioni imposte dal Covid. Al contempo la domanda da parte delle altre industrie, soprattutto quelle del settore automobilistico, è scesa notevolmente seguendo il trend di vendita delle automobili. Quando le restrizioni sono state tolte, i produttori di auto, che sono grandi utilizzatori di semiconduttori, hanno ripreso a chiedere circuiti integrati. Lo stesso hanno fatto le altre industrie. In alcune circostanze, l’impennata nel consumo dei circuiti integrati è stata anche pilotata dalla politica, come nel caso dei veicoli elettrici. La domanda complessiva sta ancora crescendo e per il prossimo futuro non si intravede alcun rallentamento né tanto meno un’inversione di rotta.
La fornitura poteva a fatica tenere il passo della domanda, pertanto la scarsa disponibilità rilevata ha causato carenze, tempi prolungati di approvvigionamento e un’impennata dei prezzi. Le difficoltà nella fornitura sono state causate in parte dalla pandemia di Covid-19 che ha compromesso la capacità dei produttori di mantenere le fabbriche pienamente operative. Anche alcune peculiarità dell’industria dei semiconduttori hanno giocato un ruolo in questa crisi. Infatti, l’aumento della capacità produttiva implica grandi investimenti e tempistiche relativamente lunghe per la commercializzazione. In base ad alcune stime, la creazione di una nuova fonderia di semiconduttori avrebbe dei costi iniziali quantificabili sui 10-12 miliardi di dollari e necessiterebbe di almeno tre anni. Per i nuovi soggetti accedere al mercato è persino più complesso, poiché devono far fronte a una curva di apprendimento molto alta e a una tecnologia in continua evoluzione.
Molti hanno incolpato la globalizzazione per la crisi dei semiconduttori. In effetti, l’industria è molto concentrata: solo due aziende (Taiwan’s TSMC e South Korea’s Samsung) producono oltre il 70% di tutti i circuiti integrati al mondo, e la prima fa la parte del leone in quanto detiene da sola quasi il 54% della produzione. I leader politici, tra cui il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e la presidentessa della Commissione europea Ursula von der Leyen, hanno annunciato piani giganteschi per supportare la rilocalizzazione dei centri di produzione, approvando finanziamenti miliardari. Difatti, mentre i ricavati della vendita dei semiconduttori si sono quasi raddoppiati nell’ultimo decennio, la capacità produttiva nel mondo occidentale è andata via via calando. Per dare un’idea, la percentuale europea della produzione globale di semiconduttori è scesa dal 22% del 1998 all’attuale 8%. La causa di ciò non può essere attribuita solo all’industria europea (o statunitense), dato che la domanda di semiconduttori è cresciuta molto velocemente soprattutto in Cina. Per i produttori risultava quindi conveniente avvicinare le fonderie ai luoghi di consumo e per le società grandi e più innovative era tempo di superare in prestazioni quelle più piccole.
La globalizzazione ha la sua parte di responsabilità nel drastico cambiamento della struttura industriale. Tuttavia non ha messo in pericolo l’economia mondiale, anzi, una maggiore specializzazione e un’economia di scala più grande hanno migliorato le prestazioni dei produttori e fatto sì che la disponibilità di semiconduttori soddisfacesse la domanda mondiale a prezzi bassi. I cambiamenti più recenti sono stati determinati da eventi drammatici repentini e non prevedibili, come il Covid-19. L’inarrestabile guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina ha contribuito a esacerbare l’attuale situazione. Come l’economista Chad Bown ha scritto, “durante il moderno conflitto con la Cina, i politici statunitensi hanno optato per un complesso impianto giuridico di restrizioni delle esportazioni avente come oggetto la filiera distributiva dei semiconduttori, nel tentativo di salvaguardare le infrastrutture critiche del settore delle telecomunicazioni". Queste politiche, anziché far diventare più resiliente l’industria statunitense dei circuiti integrati, hanno contribuito al suo declino e hanno imposto costi non preventivati all’economia, senza aver modificato significativamente l’equilibrio di forze.
Indipendentemente dagli interventi politici, l’industria sta investendo molto nell’ampliamento della capacità produttiva esistente; i prezzi e i profitti elevati forniscono un buon incentivo per entrare in questo mercato. Questo è il motivo per cui ci si aspetta che l’attuale crisi possa ridursi nella seconda metà del 2022, mentre i finanziamenti dell’Unione europea e degli USA necessiteranno di tempi più lunghi per essere erogati. Su tutto, i sussidi governativi tendono a concentrarsi sull’elevato valore aggiunto e sulle tecnologie innovative, mentre gran parte dell’attuale carenza colpisce la fascia bassa della filiera, generando equipaggiamenti poco innovativi e obsoleti. Tra l’altro, la rilocalizzazione potrebbe ridurre alcuni rischi intrinseci della catena globalizzata del valore, ma espone l’industria ad altri tipi di pericoli, come gli effetti di crisi nazionali o lock-in tecnologici. Da questo punto di vista, occorre non sottostimare l’identità di chi effettivamente acquista semiconduttori. Non si tratta di un consumatore qualunque, bensì di grandi aziende, spesso multinazionali, che fanno affidamento sui circuiti integrati come prodotti intermedi. Questi soggetti “sono in grado di gestire bene la propria valutazione del rischio geopolitico e la relativa mitigazione”, hanno spiegato Scott Lincicome e Ilana Blumsack.
In fin dei conti, l’attuale crisi non è il prodotto di uno sconvolgimento determinato dalla politica e nemmeno può essere spiegata sulla base di un aspetto specifico del commercio internazionale. È piuttosto il risultato di una domanda elevata e di una fornitura insufficiente da parte di un’industria caratterizzata da una ridotta capacità di aumentare la propria produzione in tempi brevi. La soluzione della crisi dei semiconduttori arriverà come previsto e gli investimenti annunciati diventeranno effettivi, cosa che si sta già verificando. La fine del tunnel è in vista. I governi occidentali potrebbero avere buoni motivi per tenere sotto controllo e supportare l’industria nazionale, comprese la promozione di ricerca e sviluppo e la spinta a innovare i prodotti altamente critici per il raggiungimento degli obiettivi prefissati per rendere l’economia più sostenibile. Tuttavia ciò ha poco a che vedere con le cause e non migliorerà la situazione dell’attuale carenza che verrà risolta, sorpresa delle sorprese, proprio dalla globalizzazione.