«Dal 2006, le vittime della strada sono scese da 365 a 108 ogni anno in Irlanda e da 154 a 136 ogni ora nel mondo, gli incidenti stradali però sono rimasti la prima causa di morte per i giovani dai 5 ai 29 anni. Perdere un figlio in modo così improvviso e violento dovrebbe essere prevenibile per milioni di genitori di tutto il mondo. Le vite sono molto più di un numero».
È la testimonianza dolorosa di Donna Price, in occasione della presentazione del Global status report on road safety 2023, lo studio quinquennale dell'Organizzazione mondiale della sanità sui risultati del Decennio d'azione per la sicurezza stradale. Nonostante tutto, da quando perse il figlio, Price ha trovato le energie per fondare e guidare l'Irish Road Victims Association, che si batte su questo fronte.
Per quanto freddi, i numeri restano una necessità metrica se l'obiettivo condiviso è sollevare le coscienze e ispirare la società e i singoli ad agire per evitare queste morti. Il Global status report raccoglie le statistiche sui decessi stradali nei paesi di tutto il mondo al servizio di un fine: ridurre del 50% ogni decennio il numero delle vittime a livello globale.
Il report 2023 (quinta edizione) è basato su dati del 2021 e descrive nel dettaglio la situazione in Europa, Americhe, Est Mediterraneo, Sud Est Asiatico, Ovest Pacifico e Africa. Sul terreno restano alcuni messaggi, una volta evidenziati i numeri chiave:
- le morti da traffico stradale sono state 1,19 milioni nel 2021 (-5% dal 2010), circa 3.200 al giorno e 2 al minuto;
- il tasso di mortalità resta 15 su 100.000 persone. Considerando l'aumento di un miliardo della popolazione (+13%), c'è stato un calo del -16%;
- solo 10 paesi hanno dimezzato il numero di morti: Bielorussia, Brunei, Danimarca, Giappone (vedi infografica, Nda), Lituania, Norvegia, Russia, Trinidad & Tobago, Emirati Arabi Uniti (v. infog.), Venezuela.
Le disparità persistono
«Il fardello delle morti stradali costa 1.800 miliardi di dollari all'anno, il 10-12% del Pil globale: cosa potremmo fare usando tutto questo denaro in modo diverso, a vantaggio degli utenti della strada?», si chiede Jean Todt, inviato speciale delle Nazioni Unite per la sicurezza stradale.
L'aspetto economico della questione emerge ancora di più osservando che il 92% di tutte le morti avviene in paesi a basso e medio reddito. Due su tre in età da lavoro (18-59 anni).
Perdite immense per le famiglie nei paesi più poveri dove vive il 9% della popolazione globale che possiede meno dell'1% dei veicoli a motore, appena l’1% delle strade asfaltate di tutto il mondo ma dove, con evidente sproporzione, avviene il 13% delle morti stradali.
Al contrario, i paesi ad alto reddito possiedono l'88% delle strade asfaltate di tutto il mondo e un veicolo a motore su quattro (il 28%), ma contano l'8% delle vittime. L’Oms sintetizza che i poveri del mondo rischiano di morire per un incidente stradale tre volte di più rispetto ai più ricchi.
L'Africa, per esempio, ha il peggior tasso di mortalità (19 su 100mila) e il numero di decessi è persino in crescita (+17%), mentre l'Europa ha il minore tasso di mortalità (7 su 100mila) e il calo più forte dei decessi (-36%). Quasi un paese su due (28 su 66) con vittime in aumento è africano.
Un nuovo modello di mobilità
La maggioranza delle persone si descrive prima come pedone o utente di mezzi pubblici e solo in terzo luogo come automobilista. Ciononostante, oltre metà delle vittime sono utenti di mobilità dolce o leggera. Pedoni e ciclisti sono il 23 e il 6% delle vittime, la parte di popolazione più svantaggiata in molti paesi.
Ciononostante, i mezzi di trasporto di tutto il mondo sono per l'85% a quattro ruote e la flotta globale di veicoli a motore è più che raddoppiata, (+160%). Eppure, il modello di mobilità basato sulla proprietà privata dei mezzi mostrerà sempre più i suoi limiti soprattutto nelle città, dove nel 2030 abiterà il 60% della popolazione. Diventa necessario cambiare paradigma.
«Chiediamo a tutti i paesi di mettere le persone invece delle macchine al centro dei loro sistemi di trasporto, per un mix sicuro, efficiente e sostenibile che includa il trasporto pubblico di massa, migliorando la sicurezza di pedoni, ciclisti e altri utenti vulnerabili. La mobilità sicura è un aspetto cruciale del diritto universale alla salute, non va ottenuta a prezzo di un tragico costo in vite umane. Sappiamo cosa funziona, la volontà politica deve incontrare la dimensione e l'urgenza della crisi».
Strade adatte per tutti
L'appello di Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale Oms, appare ancora più centrato considerando che la maggioranza delle strade continua a essere costruita per una flotta crescente di veicoli a motore. Ebbene, se il 40% ha una qualità soddisfacente per le quattro ruote, l'80% non soddisfa nemmeno gli standard di base per i pedoni e le piste ciclabili valgono lo 0,2% della lunghezza.
La complessità dell'innovazione tecnologica si aggiunge a questo scenario. Per esempio, nel Sud est asiatico e in Europa i ciclisti deceduti sono aumentati del 200 e del 125%, a livello globale del 20%: «I dati ricavati da alcuni paesi suggeriscono che tale incremento è dovuto in parte all'elettrificazione delle biciclette che ha condotto a un aumento della percorrenza, come tra gli anziani specialmente vulnerabili, in città spesso carenti di infrastruttura adeguata per la ciclabilità», si legge nel report.
Ciononostante, solo 51 paesi richiedono per legge controlli di sicurezza per garantire tutti gli utenti della strada. E, secondo la Banca mondiale, vengono spesi oltre 800 miliardi di dollari ogni anno nello sviluppo di infrastrutture da parte di investitori pubblici e privati, per una cifra che varia da meno dell'1% al 5% del Pil dei singoli paesi, tra il 2019 e il 2021.
Tra leggi e volontà politica
Se quella delle morti stradali è una “pandemia non dichiarata”, come spesso viene definita, «l’educazione stradale, leggi, infrastrutture, servizio post incidente sono il vaccino e dobbiamo usarlo», afferma Todt, che elenca le buone norme per automobilisti e passeggeri: uso del casco, rispetto dei limiti di velocità, divieto drink-drug-text driving, cinture di sicurezza, protezioni per bambini.
Ma il Global status report evidenzia gravi carenze normative, ovunque nel mondo:
- solo 6 paesi hanno leggi che definiscono tutte le 5 suddette buone norme
- solo 16 aderiscono a tutte le 7 convenzioni Onu su traffico stradale, segnali stradali, revisioni periodiche, requisiti delle componenti, lavoratori dei trasporti internazionali e trasporto di merci pericolose
- solo 35 hanno una legislazione sulle caratteristiche di sicurezza per l'equipaggiamento auto
- solo 16 strategie nazionali per la sicurezza stradale sono realmente finanziate, su 117 dichiarate
Un'ulteriore dimensione collega politiche internazionali, leggi nazionali, business privato e disparità sociali, per esempio nel mercato dei nuovi veicoli in quanto «laddove le legislazioni sugli standard sono carenti, i costruttori possono 'despecificare' le tecnologie salvavita nei modelli nuovi venduti in paesi dove le normative sono deboli o inesistenti, per ridurre i costi».
Per quanto riguarda l'usato, due veicoli su tre esportati (il 66% di 23 milioni) è andato ai paesi a basso reddito, tra 2015 e 2020. E solo un terzo dei paesi richiede ispezioni di sicurezza per i veicoli usati, un dato preoccupante in Africa, che ha la maggiore quota di mercato dei veicoli usati e il maggior tasso di mortalità.
Il calo del 5% è scarso rispetto all'obiettivo del -50% entro il 2030, tuttavia il Global status report indica la strada: «Alcuni dei maggiori risultati sono stati ottenuti dove è stato largamente applicato un approccio che mette le persone e la sicurezza al centro dei sistemi di mobilità – conclude l'Oms -. Dieci paesi sono riusciti a ridurre della metà i decessi tra 2010 e 2021 e questi esempi mostrano che gli obiettivi ambiziosi di riduzione delle morti possono essere raggiunti, dato il giusto livello di volontà politica e se vengono adottate le giuste misure».