La progettazione urbanistica di strade può avere un ruolo nel favorire una strada multimodale e multiuso

La progettazione urbanistica di strade può avere un ruolo nel favorire una strada multimodale e multiuso

«Prima le persone: cambiare le strade per cambiare il mondo»

Fine della visione auto-centrica: lo spiega Fabrizio Prati, director of design della Global Designing Cities Initiative. Non solo mobilità e trasporto, la nuova idea di strada multimodale e multiuso è costruita intorno alle persone, come un luogo aperto per una maggiore sicurezza e vivibilità

Trasformare le strade di tutto il mondo è la missione di Global Designing Cities Initiative (GDCI). Nata nel 2014 sotto l’egida della National Association of City Transportation Officials (NACTO) e di Bloomberg Philanthropies e oggi operativa sotto Rockefeller Philanthropy Advisors, GDCI è formata da un team di urbanisti, designer e pianificatori che, dalla propria sede di New York, lavora ai quattro angoli del mondo per rendere la viabilità più sicura, e la strada un catalizzatore per nuove occasioni di socialità. Autori della prima Global Street Design Guide sulle best practices della progettazione stradale, nelle GDCI ha recentemente lanciato Designing Streets for Kids, insieme di linee guida a misura della strada del bambino. Abbiamo incontrato il loro director of design, Fabrizio Prati, per parlare di come lo street design possa favorire equità ambientale e sociale nella vita pubblica. 

Con GDCI lavorate per ridefinire un volto più sostenibile per le nostre città. Come immaginate gli ambienti urbani del futuro? 

«La nostra visione per la città di domani è abbastanza semplice: una città che mette al centro le persone. È progettata su scala umana a partire dal punto di vista dei più vulnerabili: i bambini, gli anziani, le persone diversamente abili. Tiene conto dell’approccio di genere, ripensando ciò che finora è stato definito secondo “lenti” prevalentemente maschili. È una città dove non è più necessaria un'automobile ed è possibile accedere ai bisogni quotidiani in modo rapido, semplice e soprattutto sicuro. Dedichiamo un grande focus alla sicurezza stradale. Gli incidenti sono uno dei principali killer planetari: con 1,35 milioni di morti rappresentano quasi una pandemia all’anno, a cui si aggiungono milioni di persone rese permanentemente disabili».

Qual è il ruolo del design in questo processo? C'è una grammatica degli interventi possibili?

«Lo street design può avere un ruolo fondamentale nel ribaltare la visione auto-centrica dell’ultimo secolo e favorire una strada multimodale e multiuso. Con GDCI lavoriamo per non relegare la strada alla mobilità e al trasporto, ma per farne un luogo aperto al gioco, all’attività fisica, alla socialità, al riposo e allo svago: tutti ambiti di espressione della democrazia». 

Che metodo seguite?

«Cerchiamo di focalizzarci sulla varietà di utenti e di usi. Oltre al focus sulle persone c’è quello sui luoghi: quando contestualizziamo i nostri interventi non pensiamo soltanto al contesto urbano ma anche a quello sociale, economico ed ambientale. Nessun intervento può essere un taglia e incolla di una soluzione predefinita. Il dialogo è un altro strumento indispensabile, perché non possiamo imporre progetti senza spiegarli, ma al contrario questi devono venire da un processo di co-creazione. Anche l’uso del linguaggio si rivela centrale e deve limitare i tecnicismi. Se la mia domanda ai gruppi di utenza è “Rimuoviamo una corsia veicolare?”, difficilmente avremo una risposta informata. Anche l’urbanistica tattica può avere un ruolo importante». 

Cosa vuol dire urbanistica tattica?

«È l’idea di poter trasformare gli spazi con pittura ed elementi mobili, così da poterli mostrare alla cittadinanza, valutarli e poi decidere se adottarli in via definitiva. Il vantaggio è sicuramente quello di mostrare una possibilità di cambiamento attraverso elementi a basso costo, un po’ come abbiamo fatto con il Comune di Milano con il progetto di Piazze Aperte». 

Ci racconta il progetto?

«Alcuni spazi, identificati attraverso il bilancio partecipativo o attraverso segnalazioni della cittadinanza, sono stati scelti per una dimostrazione di urbanistica tattica, in modalità “pilota”. Per esempio, la piazza di Dergano dal Dopoguerra era diventata un parcheggio, ma è stata riconfigurata e ridata alla cittadinanza, non senza qualche polemica. L’impatto è stato monitorato e, a distanza di quattro anni, la trasformazione è stata resa definitiva. Il progetto con il Comune è continuato con una open call per le proposte di cittadini e associazioni. In un mese sono arrivate 65 proposte, e in quattro anni la città è stata capace di trasformare 40 spazi: un record, penso, per qualsiasi città in Italia e credo anche in Europa». 

E si rinegozia il riutilizzo dello spazio pubblico con tutte le parti interessate, inclusi quelli contrari? 

«In ogni città in cui abbiamo lavorato ci siamo imbattuti nel push back. Per questo è importante un ampio coinvolgimento fin dalle prime fasi del progetto, per capire se il disaccordo è espresso da una maggioranza o da una minoranza rumorosa, e quali sono ragioni del rifiuto. Il monitoraggio rimane fondamentale. Ultimamente si discute sul limite a 30 km/h, che secondo molti allungherebbe i tempi di percorrenza. I dati però aiutano ad inquadrare il problema: sia in Europa che in America Latina, passando da 50 a 30 km/h la percorrenza cambia in maniera irrisoria, all’incirca di 5/7 secondi / km. I dati servono a sfatare alcuni miti, come per esempio che le ciclabili non vengano utilizzate: ovviamente dipende dal singolo caso, ma strumenti come i video possono essere molto utili per mostrare l’uso reale di uno spazio pubblico». 

Altri casi di città virtuose?

«È difficile indicare città modello perché il contesto incide sempre moltissimo. GDCI ha lavorato molto con Bogotà, che da decenni ha incentivato la ciclabilità tanto che un milione di viaggi al giorno vengono oggi effettuati in bicicletta da persone di varie classi sociali. Gli investimenti sono stati importanti anche per il trasporto pubblico: con due milioni di viaggi giornalieri, il TransMilenio è un circuito di Bus Rapid Transit tra i più grandi del mondo. Il cambio di paradigma si è radicato: persone che si possono permettere la macchina scelgono di non possederne una. Come Bogotà, tante città del sud globale come Fortaleza, Sao Paulo, Buenos Aires, Santiago del Cile, hanno rivoluzionato la propria mobilità. Diventando un esempio anche per le città del nord globale».


Giulia Zappa - Fiorentina di nascita e oggi parigina di adozione, si occupa di comunicazione nel campo del design, dove si appassiona senza soluzione di continuità ai grandi classici come alle ricerche speculative o ai progetti scalabili. Ha scritto per numerose testate tra cui Domus, Icon Design e Artribune. Oltre al giornalismo, collabora con le Nazioni Unite per lo sviluppo di progetti legati alle industrie creative e alle energie rinnovabili.

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