La Casa Bianca, Washington D.C.

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Trump o Harris, il ruolo del voto USA nella transizione green globale

Confronto tra i due candidati alla Casa Bianca sulle politiche green degli Stati Uniti, che con Biden hanno puntato sugli incentivi. Il risultato del voto determinerà anche gli orientamenti della finanza climatica mondiale e l’adozione di iniziative più o meno coraggiose da parte della comunità globale. 

cambiamenti climatici non sembrano al centro della campagna presidenziale negli Stati Uniti. Saranno altri i temi a decidere l'esito del confronto elettorale del 5 novembre tra Donald TrumpKamala Harris: l'inflazione, l'andamento dell'economia, i diritti sessuali e riproduttivi, l'immigrazione. Il risultato elettorale degli USA avrà però un grande effetto sulla lotta al riscaldamento globale e sulla transizione energetica globale.

Gli Stati Uniti sono il secondo paese per emissioni di CO₂ al mondo (dopo la Cina) e il primo per emissioni storiche. Attualmente l'obiettivo fissato dall'amministrazione Biden è una riduzione del 50-52 per cento delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030, «un traguardo ambizioso ma possibile», come è stato definito dal presidente uscente.
 

La transizione green USA

Lo strumento principale di questo percorso è la misura votata dal Congresso nell'estate del 2022, l'Inflation Reduction Act (IRA), che ha messo in campo quasi 500 miliardi di risorse federali in incentivi, sussidi e finanziamenti per la decarbonizzazione, l'elettrificazione e la transizione degli Stati Uniti. 

Dal punto di vista di finanziario, l'IRA è stata la legge clima più ambiziosa al mondo. Rispetto al Green Deal dell'Unione Europea, ha in comune la visione di fondo: la transizione energetica come motore di sviluppo e di nuova capacità di competere con le economie emergenti, l'obiettivo di una reindustralizzazione in chiave green, per riportare dentro l'economia la produzione di tecnologie e risorse chiave per la decarbonizzazione, come la produzione di pannelli fotovoltaici o di batterie per le auto elettriche. A differenza del modello europeo, quello statunitense immette risorse sul mercato scommettendo sulla capacità di rinnovabili e mobilità sostenibile di ridurre l'impatto e l'uso dei combustibili fossili, la causa principale del riscaldamento globale. L'idea di fondo è che non serviranno divieti, basteranno gli incentivi. A differenza dell'Unione Europea non è stata fissata una data per il phase-out dell'auto con motore termico. Inoltre, l'amministrazione Biden ha scelto di non andare allo scontro con il settore energetico fossile. Anche se in questi anni la generazione da fonti di energia pulita è cresciuta, gli Stati Uniti rimangono il primo produttore mondiale sia di petrolio che di gas, e l'energia fossile genera ancora tre quarti dei consumi americani. 
 

I due contendenti

Nella sua storia politica, Kamala Harris ha dimostrato di essere meno disposta alla mediazione rispetto a Joe Biden. Quando era procuratrice generale della California, ha perseguito le aziende produttrici di gas e petrolio, per ragioni di inquinamento locale più che di lotta ai cambiamenti climatici, ma verso la fine del suo mandato aveva anche avviato un'istruttoria (poi abbandonata dal suo successore) sulla disinformazione climatica da parte del settore energetico fossile.

Quando ha sfidato Biden alle primarie del Partito Democratico nel 2019 la sua proposta politica includeva anche un bando al fracking, la fratturazione idraulica delle rocce per produrre gas di scisto, una pratica altamente inquinante e altrettanto redditizia. Da vice-presidente, non si è quasi mai occupata di clima o di transizione. Durante le prime battute della campagna elettorale, si è mostrata più prudente rispetto all'approccio del passato, ha scelto di sfidare Trump su altri campi, mentre sul clima la sua posizione è confermare e rafforzare il lavoro fatto finora da Biden. Ha anche escluso che un bando al fracking farà parte delle sue proposte: Harris del 2024 alle presidenziali è più moderata di Harris del 2019 alle primarie

Al contrario, Trump si è presentato come il principale sostenitore dell'industria oil and gas americana. Nei suoi quattro anni da presidente, tra il 2016 e il 2020 Trump aveva smantellato un centinaio di norme e misure a protezione del clima e dell'ambiente e aveva anche ritirato gli Stati Uniti dall'accordo di Parigi sul clima, unico paese del mondo a farlo. La sua nuova campagna elettorale è partita in modo altrettanto aggressivo: durante un comizio in Ohio ha accusato l'auto elettrica di «uccidere» il settore automotive, ha detto che la transizione sarà un bagno di sangue, e alla convention repubblica ha promesso che farà di tutto per aumentare i permessi di estrazione di petrolio e gas. «We will drill, baby, drill», ha detto ai suoi elettori. Nei piani elettorali del Project 2025, lo schema che dovrebbe guidare l'eventuale inizio del suo mandato, ci sono anche misure come lo smantellamento della NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration), la principale agenzia di monitoraggio di clima e ambiente degli USA, accusata di fare «allarmismo climatico»
 

Il peso degli USA sulla finanza climatica

Meno di una settimana dopo le elezioni negli Stati Uniti, l'11 novembre inizierà la ventinovesima conferenza dell'ONU sui cambiamenti climatici, la COP29 di Baku, in Azerbaijan, la terza di fila (dopo Egitto ed Emirati Arabi) in un paese produttore di combustibili fossili. La vicinanza tra le due date amplificherà l'effetto del risultato statunitense sulla transizione energetica globale, che al momento sembra in un punto di stallo soprattutto dal punto di finanziario.

La sfida della COP29 di Baku è proprio quella di mobilitare le risorse pubbliche e private per mettere in condizione le economie emergenti di andare verso uno sviluppo sostenibile e i paesi vulnerabili di adattarsi agli effetti dei cambiamenti climatici. La finanza climatica è il collo di bottiglia della transizione, e una gran parte dell'andamento dei flussi di risorse dipendono dalla politica degli Stati Uniti, in modi diretti (quanti fondi pubblici decidono di mettere per gli aiuti) o indiretti. Sono loro a nominare il presidente della World Bank, che da quest'anno gestirà anche il fondo danni e perdite per risarcire i paesi vittime del cambiamento climatico. 

Chi sarà l'inquilino o l'inquilina della Casa Bianca, se sarà ambiziosa o scettico sulla sfida climatica, influenzerà tutta la transizione mondiale.


Ferdinando Cotugno - È un giornalista. Nato a Napoli, vive a Milano e si occupa di sostenibilità, ambiente, crisi climatica. Scrive per Vanity Fair, GQ, Linkiesta, Rivista Studio, Undici e il quotidiano Domani, per il quale cura anche la newsletter Areale. Nel 2020 ha pubblicato per Mondadori Italian Wood, un viaggio alla scoperta dei boschi italiani, e conduce con Luigi Torreggiani il podcast Ecotoni.

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