760 milioni di euro è il valore del mercato dell’Intelligenza Artificiale in Italia, con una crescita del 52% nel solo 2023. Nel nostro paese, sei grandi aziende su dieci hanno già avviato almeno un progetto di IA (solo il 18% delle piccole e medie imprese). Un connazionale su quattro ha interagito almeno una volta con ChatGPT, anche se otto su dieci manifestano qualche timore per la rivoluzione in atto.
Basterebbero questi pochi dati, presi a prestito della ricerca dell'Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano, per capire la portata del fenomeno al quale stiamo andando incontro. La stessa ricerca mette in luce due aspetti importanti: il primo riguarda il mondo del lavoro e il secondo le implicazioni sociali, culturali ed etiche che saremo chiamati, tutti (senza esclusione), ad affrontare.
Già oggi, in Italia, l’Intelligenza Artificiale ha un potenziale di automazione del 50% di “posti di lavoro equivalenti”, ma da qui a dieci anni potrebbe sostituire 3,8 milioni di persone. Un dato che va correttamente misurato, tenendo in considerazione le previsioni demografiche e la denatalità. A causa dell’invecchiamento della popolazione, e prospettando un gap di 5,6 milioni di posti di lavoro equivalenti entro il 2033, questo processo di automazione appare quasi una necessità.
Le imprese lo hanno capito e mostrano grande interesse rispetto al tema, ma anche tanta confusione. Secondo un’indagine condotta da Talent Garden e Politecnico di Milano, il 38% delle aziende intervistate sta pianificando azioni di reskilling e upskilling dei propri dipendenti in chiave IA. Tuttavia, più della metà (55%) non sa quale budget destinare alle attività di formazione, come a dire che ne percepiscono la necessità, ma non hanno le idee ben chiare.
Come già accaduto con la sostenibilità e il “green washing”, anche in tema di digitale il rischio è quello dell’”AI washing”, un fenomeno che può essere confinato solo attraverso la competenza. Qui l’università si presenta come un interlocutore affidabile.
Secondo il “Jobs of the Future” Report del World Economic Forum (2023), nei prossimi cinque anni sei lavoratori su dieci avranno bisogno di formazione ad hoc. Non è un caso che il Politecnico di Milano abbia lanciato, nel 2022, AIRIC - Artificial Intelligence Research and Innovation Center: un ponte tra università e imprese, sia per guidarle nell’introduzione dell’IA nei propri processi e prodotti sia per supportarle nello sviluppo di competenze interne che siano all’altezza delle sfide future.
«È difficile pensare ad una singola tecnologia che nei prossimi 50 anni plasmerà il nostro mondo più dell’Intelligenza Artificiale». Lo aveva detto Barack Obama, anni fa. Oggi non abbiamo dubbi sulla portata della sfida in atto. E, come sempre nell’evoluzione di ogni tecnologia emergente, dopo una fase di fermento arriva un punto di inflessione: da quel momento in poi, l'impatto esercitato sulla società subisce una drastica accelerata. Lo abbiamo già toccato con mano alla fine degli anni Novanta con l'accesso di massa alla rete internet e alla fine degli anni Duemila con la diffusione del mobile.
Anche in questo caso, non c’è dubbio che siamo di fronte a un vero e proprio cambio di paradigma. In particolare si stima che l’intelligenza generativa possa raggiungere prestazioni umane entro la fine di questo decennio in ambiti legati alla creatività, al ragionamento logico, al problem solving, alla comprensione del linguaggio naturale. Aumenterà quindi il bisogno di lavoratori e di cittadini alfabetizzati, in ogni settore professionale e in molti contesti di interazione. E questo implicherà non solo nuove competenze, ma un nuovo modo di pensare in cui sarà fondamentale saper porre le domande giuste.
Tradotto, sarà determinante sviluppare senso critico, capire se e come questo cambiamento si dimostrerà sostenibile, nell’accezione più ampia del termine. Il modo in cui gestiremo la transizione verso l’Intelligenza Artificiale generativa segnerà un passaggio identitario come individui, come entità sociali, come organizzazioni politiche. L’Europa ha già espresso una posizione chiara di tutela dei valori democratici e dell’individuo ed è nel solco dell’Ai Act e della prevenzione del rischio che vanno ricondotte le evoluzioni in corso.
* rettrice del Politecnico di Milano