L’Organizzazione mondiale della sanità è stata chiara, in un report stilato con Unicef: la situazione dell’acqua potabile è critica, con circa 2,2 miliardi di persone che non dispongono di un accesso sicuro a questa preziosa risorsa. La preoccupazione aumenta guardando le previsioni future, a causa della desertificazione in corso in vaste aree del pianeta e ai conseguenti rischi di salute, di igiene e alimentazione per numerose popolazioni, sempre più costrette a migrare.
L’Agenda 2030 dell’Onu, scritta nel 2015, metteva la disponibilità d’acqua potabile e pulita al “numero 6” delle sue priorità, oggi probabilmente scalerebbe velocemente posizioni arrivando al numero 1.
Già nel 1995 Ismail Serageldin, ex vicepresidente della Banca mondiale, predisse che le guerre del XXI secolo non saranno più combattute per il petrolio, ma per l’acqua. “L’oro blu”, come viene chiamata per sottolineare quanto sia preziosa, è già causa di conflitti, soprattutto in Africa, il cui numero non fa che aumentare.
Questa problematica inizia a interessare direttamente anche i paesi occidentali. Il 27% del territorio continentale in Europa è ormai considerato in zona rossa “alert” e il 22% in zona arancione, secondo l'European Drought Observatory (Edo). L’Italia per Greenpeace è ad alto rischio e si posiziona al 44esimo posto. Nel 2022-23 si è toccato con mano cosa significhi: i giorni di pioggia sono stati ben al di sotto della media e questo ha causato problemi all’agricoltura. Solo nel 2020 il Lago Maggiore registrava il 90% del riempimento del bacino e nei primi mesi del 2023 si è arrivati a toccare punte del 18,7%. Quando poi la pioggia è tornata abbondante i terreni sono riusciti ad assorbire solo una minima parte dell’acqua, dando luogo a forti inondazioni, in diverse aree del paese. Questa situazione critica è destinata a intensificarsi a causa dei cambiamenti climatici, molti esperti stanno pensando a strategie di adattamento e soluzioni alla situazione.
Una tecnica dai paesi aridi
Una delle soluzioni più discusse è rappresentata dai desalinizzatori, macchinari che estraggono il sale dall’acqua marina e, a seguito di alcuni trattamenti, riescono a ottenere acqua utilizzabile per l’agricoltura. Questa tecnica è già utilizzata in 183 paesi, ma il 70% dell’acqua desalinizzata è prodotta in Israele, Arabia Saudita ed Emirati Arabi, zone con secolari problemi d’acqua. Anche negli Stati Uniti sta aumentando il ricorso a questa pratica, soprattutto in California, dove ormai da diversi anni c’è una forte siccità.
Ma come funzionano i desalinizzatori? Esistono due diverse tecniche. La prima è fa ricorso al normale ciclo dell’acqua: questa viene scaldata e trasformata in vapore acqueo, viene poi fatta tornare allo stato liquido, separata dal sale. La seconda utilizza l’osmosi inversa. L’acqua viene fatta passare per una membrana così sottile da far passare le molecole di H₂O (acqua), ma non quelle di NaCl (sale).
I desalinizzatori sembrano apparentemente una soluzione ideale, l’acqua del mare non scarseggia, anzi, è destinata ad aumentare a causa dello scioglimento dei ghiacciai. Ma oltre ai “pro”, ci sono anche numerosi “contro”.
Il rovescio della medaglia
Entrambi i metodi necessitano di grandissime quantità di energia. I paesi che oggi utilizzano di più i desalinizzatori la traggono da fonti fossili, in particolar modo dal petrolio. Questo, da un lato, crea grandi problemi di inquinamento enfatizzando ulteriormente i fenomeni alla base del cambiamento climatico, dall’altro fa aumentare moltissimo il prezzo dell’acqua al metro cubo, tanto da renderla poco conveniente. Un altro problema è l’impatto sull’ecosistema marino, infatti i macchinari di prelievo dell’acqua raccolgono anche moltissimi pesci, crostacei e microorganismi, andando ad alterare la catena alimentare e l'ecosistema del luogo. Un’altra questione riguarda i desalinizzatori a osmosi: a seguito del loro utilizzo sulla membrana si deposita una brina di sale e per pulirla sono necessarie diverse sostanze chimiche ed ammoniaca, tossiche se disperse nelle acque.
I progressi tecnico-scientifici possono rendere più efficienti i desalinizzatori e quindi più conveniente l’utilizzo. Il costo dell’acqua / m³ era in flessione prima di subire un rialzo a causa dell’aumento di prezzo delle materie prime, con l’inizio della guerra in Ucraina. A oggi l’acqua desalinizzata si attesta a 2/3 euro al metro cubo, a cui vanno però aggiunti i prezzi del trasporto, una cifra ancora insostenibile per l’agricoltura.
Valorizzare l’infrastruttura esistente
La soluzione principale e più immediata per far fronte al problema idrico, per lo meno nei paesi occidentali, non è la cura, ma la prevenzione. Occorre infatti rendere più efficiente il sistema idrico e ridurre gli sprechi.
Si calcola che in Italia circa il 42% dell’acqua totale prelevata vada disperso, si parla di 3,4 miliardi di metri cubi, 156 litri al giorno per abitante, un’enormità. Questi sprechi derivano dalla scarsa efficienza delle infrastrutture, vecchie e senza manutenzione. A questo vanno aggiunte le abitudini scorrette nella vita quotidiana da parte dei cittadini, che portano a sprechi e inefficienze.
La buona notizia è che la consapevolezza del problema è in aumento, il 67,4% degli intervistati dall’Istat sostiene di prestare attenzione agli sprechi. Come spesso accade le abitudini dei singoli possono fare la differenza ma solo in parte, se non vengono affiancati da interventi dei decisori politici e delle grandi organizzazioni.