A view on the harbor of Jeddah, Red Sea, Saudi Arabia

A view on the harbor of Jeddah, Red Sea, Saudi Arabia

Occhi sul Mar Rosso, un corridoio strategico per il mondo

Quando una gigantesca nave container è rimasta bloccata nel Canale di Suez, le onde d’urto hanno attraversato l’economia mondiale. In ogni caso, il Mar Rosso non è solo un corridoio per la logistica, ma una vera e propria scacchiera per le potenze regionali e globali

A causa dei conflitti internazionali e delle emergenze pandemiche, i mari e gli oceani sono oggi più che mai fondamentali in termini geopolitici. Soprattutto in Medio Oriente, le grandi potenze si contendono con le unghie e con i denti la regione del Mar Rosso, un’area che ha visto crescere ulteriormente il suo peso strategico con i recenti eventi geopolitici, fra logiche di potere e rivalità regionali.

Dall’apertura del Canale di Suez nel 1869, la rilevanza strategica del Mar Rosso è notevolmente aumentata. Il Canale di Suez collega il Mar Rosso con il Mar Mediterraneo ed è una delle più importanti arterie del commercio globale. Quando lo scorso anno una gigantesca nave container è rimasta bloccata nel Canale di Suez, le onde d’urto hanno attraversato l’economia mondiale. Il Mar Rosso rimane un importante ingranaggio della Nuova Via della Seta promossa dalla Cina. Il recente scontro tra grandi potenze nel Mar Rosso ricorda come la regione sia un nodo cruciale non solo per il commercio, ma per il mondo intero.

Da una rapida panoramica internazionale, la recente istituzione da parte degli Stati Uniti di una nuova task force multinazionale per prevenire il contrabbando di armi e narcotici nelle acque dello Yemen e nelle sue vicinanze, e la decisione dell’Iran di rafforzare la propria presenza nel Mar Rosso, mettono in luce due tendenze opposte, che potrebbero intensificare il ruolo geopolitico della regione. L’istituzione della task force combinata statunitense, focalizzata sulla sicurezza marittima internazionale e sul rafforzamento delle capacità nel Mar Rosso, a Bab al-Mandeb e nel Golfo di Ade, intende trovare il giusto equilibrio fra i riassetti regionali e gli interessi dell’America nella regione e nelle acque strategicamente importanti dell’Oceano Indiano occidentale. La creazione del gruppo quadrilaterale composto da India, Israele, Emirati Arabi Uniti (EAU) e Stati Uniti – altrimenti noto come I2U2 – apre a questi paesi la possibilità di collaborare nell’area del Mar Rosso. Di tutt’altra opinione è il Ministro della Difesa israeliano Benny Gantz, che ha espresso preoccupazione per la presenza militare iraniana nella regione del Mar Rosso. Dopo il 2015, infatti, con l’intensificarsi della guerra in Yemen, la crescente ingerenza militare iraniana in questa zona – in parte a sostegno dei ribelli Houthi – ha sollevato non pochi timori negli Stati arabi e a Israele. Il programma nucleare dell’Iran e le sue politiche regionali aggressive in Medio Oriente hanno acuito le rivalità strategiche con Stati come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti.

Negli ultimi anni, svariati attori globali e regionali hanno stabilito le loro basi militari nei paesi litoranei del Mar Rosso, che attualmente sono sette: Egitto, Sudan, Eritrea e Gibuti a formare il fianco occidentale, e Arabia Saudita e Yemen sulla costa orientale. Il porto israeliano di Eilat si trova nell’angolo nord-orientale di questa via d’acqua strategica. I pesi massimi della regione sono Egitto, Israele e Arabia Saudita, mentre gli altri quattro Stati sono deboli, poveri, instabili e vulnerabili. Con queste premesse, non sorprende quindi che la zona sia entrata nel mirino delle forze militari regionali e globali. La Russia ad esempio ha annunciato di voler stabilire una base navale in Sudan, mentre la Cina ne possiede già una a Gibuti. A guidare i loro sforzi, l’imperativo di espandere la propria influenza e stabilire una presenza militare in uno dei corpi idrici cruciali a livello globale.

Per la Cina, l’evacuazione dalla Libia nel 2011 e dallo Yemen nel 2015 ha sottolineato la necessità di mantenere una base operativa in posizione avanzata. A consolidare il ruolo statunitense nella geopolitica regionale sono la base a Gibuti, le strette relazioni strategiche con Egitto, Israele e Arabia Saudita, e gli sforzi multinazionali come la Combined Maritime Forces (CMF). La presenza di Stati Uniti, Cina e Russia nel Mar Rosso dimostra come la logica delle grandi potenze sia in costante evoluzione ed espansione.

Nel contesto della guerra in Yemen, dal 2015 gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita hanno cercato di limitare il potere degli Houthi sostenuti dall’Iran e di contenere l’influenza iraniana nell’area meridionale del Mar Rosso. Hanno pertanto ampliato la loro influenza e presenza militare, stringendo partnership con Sudan, Gibuti ed Eritrea. La Turchia dal canto suo vorrebbe ricostruire il porto di Suakin in Sudan, per integrare la sua presenza in Somalia. Il maggiore interesse globale e regionale per il Mar Rosso è stato sfruttato dagli Stati regionali per trarne i massimi benefici. Il Gibuti ad esempio sopravvive grazie agli affitti pagati da chi gestisce le basi militari straniere. L’Eritrea e il Sudan hanno cercato di porre fine al loro isolamento, interagendo con gli altri protagonisti regionali. Tuttavia, il coinvolgimento di attori esteri nella regione ha avuto anche ripercussioni negative. Lo Yemen è stato dilaniato dalla guerra civile e dalle rivalità regionali. La vicinanza tra le basi di Stati Uniti e Cina a Gibuti ha alimentato un clima di ansia.

La mossa di Washington per rafforzare la presenza strategica degli USA nella regione ha un duplice obiettivo: cambiare la percezione che l’influenza degli Stati Uniti nella regione stia diminuendo e dimostrare a paesi amici, come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, che l’America non sta facendo il doppio gioco. Tanto più che gli Stati Uniti hanno bisogno della loro collaborazione per aumentare la produzione di petrolio, viste le interruzioni causate dalla guerra in corso tra Russia e Ucraina. La crescente presenza militare iraniana, unita ai ritardi nel rilancio dell’Accordo sul nucleare iraniano (Joint Comprehensive Plan of Action, JCPOA) e all’inasprimento delle rivalità tra Russia e Occidente, non è affatto di buon auspicio per la sicurezza regionale.

La decisione degli Stati Uniti di potenziare la presenza strategica nel Mar Rosso è coerente anche con la scalata americana post-Afghanistan nella regione. Al contrario, il rafforzamento dell’asse russo-iraniano, il continuo sostegno dell’Iran ai ribelli Houthi nello Yemen e i ritardi nell’implementazione del JCPOA hanno offerto agli Stati Uniti l’occasione di riaffermare il proprio peso nella regione e soddisfare i propri interessi in un contesto di rapido cambiamento dell’assetto geografico nell’Asia occidentale, soprattutto a seguito degli Accordi di Abramo. I paesi europei, dal canto loro, sembrano ormai fuori dai giochi. 

I mari e il posizionamento strategico intorno ad essi hanno ridisegnato i rapporti tra le superpotenze mondiali, che si sono ritagliate la propria collocazione in questo nuovo ordine globale.


Patrizia Marin - Giornalista e presidente di Marco Polo Experience, agenzia di comunicazione strategica, public affairs, marketing e media relations, con esperienza ventennale in internazionalizzazione d'impresa, comunicazione, media relations, mappatura dei decisori e della comunità dei rapporti di interesse. È stata consigliere della Presidenza italiana del Consiglio dei ministri della Comunicazione, Editoria e Informazione. Nei settori logistica e infrastrutture, è stata responsabile delle comunicazioni dell'autorità portuale di Venezia; consulente relazioni media per Aeroporti di Roma; international pr advisor per Atlantia mentre è vicepresidente di FBC. È professore a contratto in Leadership e Relazioni Internazionali presso l'università IULM ed è laureata in giurisprudenza e scienze politiche internazionali.

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