Trasformare l’aeroporto in una destinazione, piuttosto che in un luogo dove prendere solo un aereo, tanto da metterlo al centro di un possibile modello di sviluppo urbano, enfatizzando il ruolo della mobilità aerea di persone e merci come perno dell’economia moderna, intorno al quale costruire un’ideale città del futuro.
Su questa linea, piuttosto controversa per diverse sfumature e criticità, si muove John Kasarda, accademico statunitense e consulente internazionale, tra i massimi esperti di sviluppo aeroportuale nel mondo con dieci volumi e centinaia di articoli pubblicati sull’argomento. Secondo la sua visione, l’aeroporto sta al 21esimo secolo come le autostrade stavano al 20esimo, le strade al 19esimo, e i porti al 18esimo: infrastruttura capitale, motore della crescita, l’aeroporto è la leva e il fattore differenziale per l’economia del territorio. Come tale, dice Kasarda, l’aeroporto non dovrebbe essere relegato in una posizione periferica. Ma dovrebbe essere, al contrario, là dove può garantire la massima raggiungibilità per utenti e servizi: il centro delle città, là dove si concentrano gli snodi dei trasporti e le principali attività urbane.
L’attrattività dell’aeroporto di Kasarda, infatti, è slegata dal mero traffico aereo. E guarda ad un’esperienza più articolata, che va oltre il transito di passeggeri per abbracciare anche la fruizione di spazi di sosta per shopping e ristoranti. Un centro commerciale innestato con la funzione del trasporto veloce, potremmo riparafrasare, a cui si aggiunge il ruolo di polo di attrazione economica per tutta una serie di servizi ed industrie collaterali che nelle vicinanze dell’aeroporto prosperano seguendo una logica di cluster: le realtà dell’hospitality, gli uffici e i padiglioni per le fiere, ma anche i centri logistica e della produzione.
Per l’industria, infatti, la prossimità ai centri di spedizione è oggi più importante di un tempo: non solo per quei settori in cui la velocità di consegna è letteralmente vitale, come la biofarmaceutica, ma anche per le filiere produttive tipicamente dislocate in paesi diversi, come l’elettronica, dove è centrale ridurre qualsiasi tempo morto legato alla scarsa connettività dell’ultimo miglio.
La forma di questa città-aeroporto per Kasarda ha un nome, Aerotropolis, che è anche quello del best-seller “Aerotropolis. The Way We’ll Live Next” (Penguin, 2011), dove lo studioso ha articolato questo concetto insieme al coautore Greg Lindsay. Estesa fino a 30 km dal suo centro-aeroporto, l’aerotropoli si caratterizza per la presenza di grandi assi di scorrimento e di anelli concentrici dove si localizzano prima le industrie, quindi i servizi, e infine le zone residenziali.
Per i tanti europei che sono abituati a identificare il centro città con la sua parte storica, generalmente la più bella ed invitante, e in fondo specchio dell’identità collettiva e individuale, la visione di Kasarda è un azzardo controintuitivo. Eppure, alcune proiezioni largamente condivise e diversi esempi di aerotropoli già esistenti, sembrerebbero suffragare (quanto meno in alcuni contesti geografici) la tendenza verso un'espansione ed un'accresciuta capacità di attrazione degli aeroporti nel contesto urbano. Entro il 2030, la flotta aerea commerciale globale si espanderà del 33%, mentre si stima che nel 2040 saranno 19 miliardi i viaggiatori che transiteranno per gli aeroporti, con una crescita annua del 5,8%. Dati che sono affiancati anche dall’aumento di investimenti nel settore delle costruzioni, che vedono la Cina in testa con 250 miliardi di dollari di budget dedicati.
È facile, lo riconosce lo stesso Kasarda, dare vita ad un’aerotropoli là dove non ci sono centri abitati preesistenti. Questa constatazione, però, non inficia secondo lui la validità del modello. Esempi di aerotropoli sono diffusi non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa. Tra i casi studio più citati troviamo infatti Memphis, secondo aeroporto cargo mondiale (Fedex vi ha la sua sede storica) e Amsterdam Schipol, tra i principali aeroporti europei sia cargo che per traffico passeggeri e… sede di mostre del Rijksmuseum. Anche la Svezia avrebbe la sua aerotropoli con l’aeroporto di Stoccolma-Arlanda, il più trafficato del paese. Mentre Hong Kong costituisce, con la sua alta densità, un esempio emblematico, con la prossimità residenziale che abbraccia ed ingloba Chek Lap Kok. E proprio l’Asia sembra guidare questa tendenza: l’aeroporto Changi di Singapore dispone già di un suo “Jewel”, un luogo di attrazione di nome e di fatto che, sotto le vesti di una cupola trasparente invasa dalla vegetazione, ospita oltre alle funzionalità strettamente aeroportuali anche destinazioni legate all’intrattenimento e all’hospitality. In Arabia Saudita, l’aeroporto di Riad si sta preparando ad includere nuove aree legate tanto al trasporto che all’intrattenimento con l’obiettivo ambizioso di accogliere 185 milioni di passeggeri nel 2050.
Secondo alcune stime, il modello dell’aerotropoli potrebbe decuplicare i ricavi degli aeroporti, ma le critiche al modello sono numerose. Le principali riguardano non tanto la fattibilità, ma la natura di non-luogo, di “città stordente”, «dove non c’è niente che si possa imparare camminando per strada», come ha detto il sociologo Richard Sennett, che questo modello finisce per incarnare. A dispetto della loro frequentazione, le aerotropoli riprodurrebbero città tutte uguali, popolate dagli stessi negozi, dalla stessa architettura funzionale, senza un’espressione legata alla storia del territorio.
I bisogni legati al benessere psicofisico sarebbero trascurati: pensiamo alla soluzione agli antipodi incarnata dalla città post-Covid di Stefano Boeri, che all’epoca della pandemia preconizzava la necessità di costruire città e quartieri intorno ad un parco. Nella monotonia di città-figurina, anche le problematiche legate alle emissioni degli aerei, soprattutto in fase di atterraggio e decollo, e all’inquinamento acustico suscitano numerosi punti interrogativi.
A queste perplessità, Kasarda risponde con un pragmatismo tutto americano peraltro molto apprezzato anche in Cina, dove Kasarda ha lungamente lavorato. Lo studioso ribatte infatti come il problema dell’impatto ambientale e sonoro si dovrebbe risolvere all’orizzonte del 2035, secondo le stime, con l’avvento dell’aereo ad idrogeno e con l’elettrificazione dei voli più brevi. E sulla natura scarsamente umanistica di un luogo destinato ad essere un fake? Niente vieta, dice Kasarda, di fare dell’aeroporto un luogo di vita, animato da tutte le manifestazioni possibili dell’ingegno e dell’espressività umana. Del resto ad Heathrow, sottolinea, suona regolarmente la London Philarmonic Orchestra.