Se ripercorressimo in modo approssimativo la storia dell’automobile, gli ultimi cinque-sei anni potrebbero essere archiviati come responsabili della più importante rivoluzione tecnologica per l’intera industria. Essi coincidono con la decisiva (ma poco programmata) volontà di trasferire gli investimenti in ricerca e sviluppo esclusivamente per l’automobile elettrica. Una necessità più ideologica che pragmatica, più vicina al senso comune che alla reale politica. Un “bisogno” non nato dal basso ma piuttosto dalla convinzione che forzature e imposizioni possano innescare un meccanismo virtuoso di sostenibilità. Visione tutta da dimostrare, visti gli appelli a rivalutare tale posizione che si rincorrono tra i costruttori, i venditori e gli utenti. L’automobile è un prodotto dell’ingegno umano e come tale deve poter godere di una sperimentazione libera, audace, coraggiosa e provocatoria. I vincoli imposti dagli organi politici la limitano nel tempo (entro il 2035) e soprattutto nello spazio (nella sola Europa!), in un continente che ha dato i natali all’automobile e che del suo indotto si nutre.
La reazione delle sportive
Un momento di simile rottura, se non pianificato con la giusta attenzione, potrebbe compromettere il comparto nella sua totalità: dai generalisti al premium, passando per il lusso e le super sportive. Queste ultime occupano volumi produttivi minimi, rappresentano quote di mercato trascurabili e si posizionano in una fascia di mercato alta ed elitaria. Le fabbriche di automobili sportive si concentrano in Italia e Germania (per lo più) e in minima parte in Inghilterra. Sono marchi d’eccellenza che interpretano il gusto del lusso e il fascino delle prestazioni attraverso soluzioni di stile creative, strutture aerodinamiche sofisticate e (soprattutto) motori possenti e rumorosi. Il 12 cilindri Ferrari e Aston Martin, l’8 cilindri AMG, il 10 cilindri Lamborghini e Audi: esempi di una lunghissima tradizione che ha le sue radici nel motorsport e che ha saputo avere ricadute sul prodotto di serie. La transizione energetica (per ora..) non sembra voler lasciare spazio alla neutralità tecnologica (ciò significa carburanti sintetici, idrogeno o altre soluzioni) imponendo a livello europeo la propulsione elettrica come unica alternativa.
Il settore delle supersportive sta già, tra molti dubbi, percorrendo tale direzione obbligata con i primi veicoli a zero emissioni ma ad altissime prestazioni già disponibili da un paio di anni. A muoversi in anticipo sono stati i tedeschi di Porsche che con il progetto Taycan hanno voluto dimostrare come da Stoccarda sappiano trasferire tutta la loro esperienza su di una tecnologia propulsiva inedita e alla prima applicazione. La condivisione strategica del gruppo Volkswagen ha avuto ricadute positive per Audi che dalla stessa piattaforma (la J1) ha ricavato un veicolo dal comportamento e dal carattere differente: l’E-tron Gt che ha sicuramente colpito il mercato. Quanto a Ferrari, Lamborghini, Aston Martin e persino Rolls Royce hanno già anticipato che in futuro ci saranno automobili elettriche che sapranno rispettare il fascino, la tradizione e la passione dei rispettivi marchi. Considerando che un’automobile elettrica può essere personalizzata con soluzioni tecniche impensabili per un motore a combustione, il risultato difficilmente deluderà le aspettative. La componente sonora probabilmente sarà insostituibile, ma questo è un discorso che affronta la dimensione sensoriale e “romantica”, molto soggettiva.
Un sistema solido?
Ci sono però due temi a cui la transizione energetica deve ancora rispondere: concorrenza e affidabilità. Se sul primo le considerazioni possibili affrontano temi ampi e complessi che si avvicinano alla geopolitica e alla pianificazione economica, il secondo è argomento più sensibile al consumatore. Sebbene i dati oggi disponibili siano per lo più approssimativi (le auto elettriche occupano “solo” il 10% del totale dei veicoli in Europa) perché fanno riferimento a un periodo di tempo limitato, i risultati di un’indagine indicano una tendenza al guasto superiore rispetto alle corrispettive con motore a combustione.
Secondo un sondaggio effettuato dalla rivista inglese Which? (uno dei pochi sul tema), su 48mila possessori di auto, una persona ogni tre (il 31%) che possiede un’auto elettrica da quattro anni ha segnalato almeno un’avaria, una cifra che si riduce a una su cinque (il 19%) per le macchine a benzina. I guasti più frequenti evidenziati dai possessori di vetture elettriche riguardano il software, quindi non necessariamente legati al motore o alla batteria: il sistema operativo è il vero e proprio centro nevralgico di un’automobile elettrica. Un’indagine che alimenta i dubbi su un processo di trasformazione che pare sempre più forzato verso le automobili e la loro industria. Ma il trasporto stradale rappresenta solo un quinto del totale delle emissioni in tutta la Ue.
Quale fascino per i bolidi
La parziale affidabilità dell’auto elettrica potrebbe avere ricadute negative anche nel segmento delle super sportive, nonostante la componentistica sia di gran lunga inferiore rispetto a un motore con cilindri e pistoni. Come detto, la criticità principale è rappresentata dal software di gestione dell’energia: per le case auto si presenta così il bisogno di assumere esperti di programmazione per scrivere algoritmi sofisticati che sappiano interpretare in tempo reale le richieste del pilota.
Una condizione che apre scenari inediti e che potrebbe riscrivere il futuro stesso delle automobili ad alte prestazioni in termini di utilizzo e tenuta del valore. In Italia abbiamo il più evidente esempio del fascino senza tempo dell’automobile: la Mille Miglia storica. Veicoli prodotti un secolo fa percorrono 1.600 chilometri in tre giorni a ritmi di guida impegnativi persino per automobili di nuova generazione. Solo componenti meccaniche che comunicano coordinate per muovere le ruote, un balletto che da cento anni si ripete e che prosegue inarrestabile. Sarà lo stesso per le automobili elettriche?