Stockholm ha un piano ambizioso per diventare carbon-neutral entro il 2040

Stockholm ha un piano ambizioso per diventare carbon-neutral entro il 2040

Città che sfidano la crisi climatica: tre storie dall’Antropocene

I centri urbani non devono avere per forza un impatto distruttivo sulla natura e sulla biodiversità. Gli esempi di Shanghai, Stoccolma e Prato provano a invertire il paradigma e dimostrano come le infrastrutture green possano aiutare ad affrontare sfide ambientali come la gestione delle alluvioni, la riduzione dell’inquinamento, la resilienza climatica e la salute pubblica.

Più della metà della popolazione mondiale, il 55% per la precisione, vive già in aree urbane. Era il 30% nel 1960, sarà il 70% nel 2050, come preconizza il rapporto World Urbanization Prospects 2018, più volte citato dai media, delle Nazioni Unite. All’epoca dell’Antropocene, e con una pandemia mondiale ancora in corso, il potere attrattivo delle città convive con la consapevolezza che l’impatto del riscaldamento globale imporrà un deciso cambiamento di rotta al modello di sviluppo urbano, almeno per come l’abbiamo inteso nel corso del ‘900. Con diverse sfumature di allarmismo, siamo ormai consapevoli che alcuni dei problemi che affliggono l’ecosistema della città possano intaccare non solo la nostra qualità di vita, ma anche la stessa idea di vivibilità dei luoghi che abitiamo: innalzamento delle acque, polveri sottili, isole di calore, erosione della biodiversità sono le minacce con cui ci stiamo già confrontando oggi, e che potrebbero essere ancora più preoccupanti domani. E se il nostro quotidiano sembra ancora conservare il volto apparentemente rassicurante che aveva in passato, il dibattito sulle soluzioni capaci di coniugare sviluppo urbano e sostenibilità avanza fino a coinvolgere su diversi livelli persone e istituzioni, dalle organizzazioni internazionali ai governi, fino alle comunità locali.

Allo stesso tempo, ad avanzare sono anche le soluzioni all’avanguardia destinate ad incarnare una possibile conciliazione tra dimensione del costruito ed ordine naturale. Diverse città fanno oggi da apripista a soluzioni virtuose. Abbiamo scelto di raccontarne tre - Shanghai, Stoccolma e Prato – per mostrarvi come ognuna di esse, partendo dalle proprie specificità e su dimensioni di scala differenti, esplori attraverso progetti innovativi le risposte che, in un futuro a breve termine, potrebbero investire la vita di ognuno di noi.

Shanghai

Cominciamo il nostro periplo partendo dall’Asia, continente già colpito dal cambiamento climatico soprattutto per quanto riguarda l’innalzamento dei mari e le conseguenti inondazioni delle aree costiere. Sono moltissime, tra Pakistan, India, Bangladesh, Cina e Indonesia, le città destinate ad essere parzialmente o integralmente sommerse dall’avanzata degli oceani: un rischio che diventa maggiormente difficile da gestire per tutte le aree ad altissima densità urbana prossime alle coste. È il caso di Shanghai, seconda megalopoli cinese (25 milioni gli abitanti ufficiali, 30 milioni secondo le stime che tengono in conto anche la popolazione non regolarizzata), già sotto scacco per questa inedita forma di “acqua alta”. Questo immenso agglomerato urbano è già stato abituato a gestire misure di cambiamento draconiane per ovviare all’impatto dell’inquinamento. Si pensi che dieci anni fa, il famigerato inquinamento dell’aria è stato “risolto” con la rilocalizzazione di tutta l’industria pesante a 200 chilometri di distanza. Ancora oggi a Shanghai mascherina e depuratore sono la norma, ma la concentrazione di polveri sottili e la nebbia grigia dello smog si sono decisamente abbassate.

Da qualche anno, invece, la sfida principale si rivela la costruzione di un argine contro l’innalzamento delle acque che la cingono dal mare e che la attraversano, vista la presenza di uno dei principali corsi d’acqua cinesi, lo Yangtze. Anche in questo caso, Shanghai non ha optato per le mezze misure: sono 520 i chilometri di barriere anti-inondazione che il governo cinese sta costruendo nella baia di Hangzhou, nella parte meridionale della megalopoli, circondando anche le isole di Chongming, Hengsha e Changzing. Ispirate ad un modello simile a quello del Mose di Venezia, tra i casi studio presi in esame per la realizzazione di questa infrastruttura, le barriere mobili si innestano su tre dighe che possono ulteriormente contribuire all’assestamento del livello dell’acqua, prendendo come esempio in questo caso il Maesland di Rotterdam.

Altro parametro da regolare, quello dell’incidenza delle precipitazioni. Shanghai non è soltanto sotto il livello del mare per tre-cinque metri (il dato varia a seconda delle aree), ma è anche colpita da due o tre tifoni all’anno. Da qui il modello che il governo cinese ha studiato per tutto il paese, e che anche a Shanghai viene progressivamente implementato: quello delle “città-spugna”. A fronte di fenomeni piovosi che si fanno sempre più intensi, il territorio urbano viene per quanto possibile demineralizzato, quindi privato in alcune aree dell’asfalto impermeabile che lo ricopre, per assorbire l’acqua in profondità attraverso il terreno. Un modo, questo, per non saturare fogne e canalizzazioni, ma anche per prevenire in estate la formazione di quelle isole di calore che proliferano proprio là dove gli alberi sono scarsi e il lastrico cittadino si estende uniforme senza lasciare spazio alla terra e allo scambio di umidità che essa genera.

Prato

Dall’Asia, torniamo in Europa, e nello specifico a Prato. Un capoluogo di provincia con un’identità molto spiccata, legata alla rinomata industria tessile locale tanto negli anni di grande successo economico quanto di crisi. È proprio dalla sostenibilità che la città toscana ha scelto con coraggio di ripartire: immaginando un futuro verde, a basso impatto ambientale, capace di traghettare una nuova inclusione sociale proprio a partire da quest’anima verde. Con il progetto Prato Urban Jungle, la città investe su quattro siti pilota, tre pubblici e uno privato, trasformandoli in dispositivi ad alta densità di verde. Attraverso pareti e tetti verdi, giardini collettivi e suoli demineralizzati, la giungla pratese si trasforma in un dispositivo capace di ridurre gli inquinanti e favorire un nuovo benessere per la cittadinanza.

Nel primo sito pilota, la sede dell’azienda Consiag Estra troverà con il progetto di Stefano Boeri Architetti una facciata arricchita con arbusti, piante di alto fusto e rampicanti che mitigheranno l’impatto dell’intenso traffico circostante, favorendo anche una migliore vivibilità e performance energetica dell’edificio. Negli edifici di edilizia pubblica popolare del quartiere ad alta densità abitativa di San Giusto, invece, 1.600 metri quadrati di pavimentazione impermeabile verranno demineralizzati e trasformati in superficie drenante, mentre le facciate saranno vegetalizzate e nuovi giardini creati per la socialità dei residenti. Quanto al nuovo mercato cittadino, realizzato in un vecchio capannone dismesso, oltre alla vegetalizzazione delle facciate sarà anche implementata la più grande fabbrica dell’aria, secondo il modello di filtraggio botanico sviluppato da Stefano Mancuso. Infine, il centro commerciale cittadino sarà affiancato da una serra urbana ad alto rendimento per la produzione di vegetali a chilometro zero, a cui si unirà un’area ristoro aperta a tutta la cittadinanza. Il progetto non è stato calato dall’alto dall’amministrazione, ma è stato orchestrato con la cittadinanza attraverso strumenti di co-progettazione che mirano ad individuare soluzioni vicine alle reali necessità dei residenti, a promuovere l’adesione, massimizzando i benefici per tutti i soggetti coinvolti.

Stoccolma

Ultima tappa, Stoccolma. Animata da un ambizioso piano carbon-neutral per il 2040, la capitale svedese sperimenta modelli di edilizia virtuosa per le nuove costruzioni. In particolare, le sperimentazioni si concentrano nell’area dello Stockholm Royal Seaport, dove 12mila nuove abitazioni e 35mila uffici sono stati creati attingendo ai principi dell’economia circolare, di una gestione virtuosa dei rifiuti e dell’efficientamento energetico. Lo sviluppo urbanistico, che si vuole inclusivo, non prescinde dal gender mainstreaming, facilitando la piena partecipazione e vivibilità degli spazi urbani da parte della cittadinanza femminile. Un altro cambiamento accelerato è quello che investe l’elettrificazione del parco automobili, che passa per gli incentivi all’uso ma anche all’acquisto di veicoli elettrici, per quanto riguarda sia la flotta dei mezzi di trasporto pubblici che le auto di proprietà privata.


Giulia Zappa - Fiorentina di nascita e oggi parigina di adozione, si occupa di comunicazione nel campo del design, dove si appassiona senza soluzione di continuità ai grandi classici come alle ricerche speculative o ai progetti scalabili. Ha scritto per numerose testate tra cui Domus, Icon Design e Artribune. Oltre al giornalismo, collabora con le Nazioni Unite per lo sviluppo di progetti legati alle industrie creative e alle energie rinnovabili.

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