L’abbiamo chiamata “giungla d’asfalto”. Oggi, al contrario, la desideriamo sempre più verde. Complice il peggioramento della qualità dell’aria e, più recentemente, la messa a punto di strategie di adattamento al cambiamento climatico in corso, la città ha smesso di concepirsi come una realtà antitetica al mondo naturale. Sempre più densa e sempre più spinta ai limiti nell’uso delle risorse, la città rinnega, a tutte le latitudini, l’opposizione natura-artificio per trasformarsi in un ecosistema ibrido, dove la flora e con essa la fauna convivono con il nostro mondo edificato.
L’impulso generato dalla necessità di accrescere la resilienza delle città davanti a un clima sempre più caldo, ratificata anche dagli Accordi di Parigi, ha certamente amplificato la consapevolezza circa il ruolo giocato dalla natura nei nostri spazi urbani che, si ricorda spesso, continueranno ad attrarre sempre più abitanti (sarà il 70% della popolazione mondiale nel 2030 secondo le previsioni del World Urbanization Prospects 2018, a fronte del 54% attuale). La pandemia, per il momento, non sembra aver ancora scalfito la tendenza.
Questa concentrazione, sostengono numerosi esperti, non diminuisce la pressione sull’ecosistema, né ci permette di considerare il separatismo tra uomini e natura come una strategia di salvaguardia ambientale. L’estensione delle città rappresenta oggi il 2% di tutte le terre emerse; tuttavia, dalle città proviene il 70% delle emissioni mondiali di CO₂. Ripristinare le risorse del pianeta, dunque, significa migliorare la maniera con cui le città sono in grado di gestire, smaltire e compensare le proprie emissioni. In un mondo in cui le tecnologie di carbon capture sono ancora agli albori e mancano le previsioni certe sulla loro efficacia, una delle tecnologie più sofisticate su cui possiamo contare è già messa a disposizione dalla natura: si chiama “albero”, ed è capace di giocare un ruolo fondamentale nell’assorbimento dei gas cittadini.
Attraverso il processo di fotosintesi che ne regola la crescita, gli alberi rappresentano i nostri migliori alleati per “depurare” l’aria dai gas quali l’anidride carbonica e dalle polveri sottili. Eppure, il ruolo giocato da arbusti e piante di alto fusto all’interno della città non si limita a questo. Sappiamo che in estate, e ancor più durante le ondate di calore estremo, l’ombra offerta dalle chiome arboree nelle strade può ridurre fino a 10 °C la temperatura percepita, contribuendo a smorzare in maniera naturale le tante isole di calore che, soprattutto nelle grandi piazze asfaltate, sono responsabili dei nefasti picchi termici. Da non disdegnare, inoltre, l’effetto di benessere mentale esercitato dal verde sugli abitanti della città. Antidoto all’aggressività, il verde cittadino, come se non bastasse, ha dimostrato di essere un coadiuvante ad una migliore qualità di vita grazie ai suoi effetti di mitigazione del rumore.
Una strategia nazionale
Nuove “catalizzatrici del verde”, per usare un’espressione di Stefano Boeri pubblicata sulla recente pubblicazione Green Obsession, Trees toward Cities, Humans towards forests, le città sono state recentemente oggetto di un vasto piano coordinato dal neonato Ministero della Transizione Ecologica, che ha stanziato fondi pari a 330 milioni di euro dedicati all’incremento delle foreste urbane nelle città italiane.
Il bando per la “Tutela e valorizzazione del verde urbano ed extraurbano”, inserito nel più ampio Piano nazionale di ripresa e resilienza predisposto dal Governo Draghi, ha come obiettivo la piantumazione di 6,6 milioni di alberi in 14 città metropolitane. Queste nuove aree verdi potranno offrire, nella visione dei promotori, un contributo significativo alla diminuzione dell’inquinamento atmosferico, contribuendo ad una valorizzazione della biodiversità diffusa, ad un riassetto paesaggistico, alla limitazione del consumo di suolo per attività industriali o per nuovi complessi residenziali.
L’esito dell’individuazione dei siti è stato comunicato dal Ministero guidato da Roberto Cingolani: saranno Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Genova, Firenze, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Torino e Venezia le città dove i 6.600 nuovi ettari metteranno radici. A seconda dei singoli progetti, le nuove aree estenderanno boschi già esistenti in aree urbane o periurbane, creeranno dei raccordi tra parchi cittadini e in alcuni casi saranno dotati di infrastrutture per attività didattica e fruizione turistica.
Il marchio nuovo di una città
Il grande piano italiano rappresenta sicuramente un’avanguardia in Europa, ma non è certo l’unico a segnare il rinnovamento verde dei nostri tessuti urbani. In Francia, è già un caso il piano di sviluppo sostenibile lanciato da Nizza. La città costiera, emblema della “dolce vita” del Midi francese e tradizionalmente conservatrice nella visione politica, ha sorprendentemente giocato la carta della resilienza ecologica già a partire dal 2008. Gli interventi urbanistici e sui trasporti, gestiti dal Comune attraverso processi partecipativi e consultazioni cittadine, si sono affiancati ad un’intesa riforestazione dello spazio urbano. I risultati iniziano già ad essere visibili: la Promenade du Paillon, il nuovo parco cittadino eretto là dove un tempo si trovavano una vecchia stazione degli autobus e il suo parcheggio scambiatore, è oggi un landmark sullo stesso piano della storica Promenade des Anglais. Ma non è tutto: all’insegna dello slogan “1 albero ogni 5 abitanti”, la piantumazione urbana è riuscita a contenere l’emissione di polveri sottili.
Nel caso della Promenade des Anglais, dove i nuovi alberi sono stati accompagnati dall’elettrificazione della linea di tram e dalla diminuzione delle corsie riservate alle macchine, la riduzione del particolato si attesta su un lusinghiero -65%. Ma non è tutto: al ritmo di 130 alberi piantati ogni giorno – questa è la media sotto il mandato del sindaco Christian Estrosi, in carica dal 2017 – la città di 360mila abitanti ha aggiornato il proprio obiettivo ad “un albero per abitante”. Oltre la carta della sicurezza climatica, la scommessa sta anche nel riposizionamento del marchio della città: la nuova “ville verte” potrà rafforzare grazie alla sua nuova identità sostenibile la sua attrattività e il suo posizionamento nel campo del turismo di lusso.
Un continente alla prova
La sensibilità alla riforestazione degli spazi urbani non è però certo un’esclusiva dei paesi sviluppati. In Africa, dove gli effetti del cambiamento climatico si prospettano molto più accentuati che in Occidente a dispetto di una bassa emissione di CO₂, le Nazioni Unite hanno stilato dei programmi dedicati per la riforestazione degli spazi urbani. Lanciato nel 2019, il piano della “Grande muraglia verde per le città”, ancillare al progetto della Grande muraglia verde africana lanciata agli inizi del XXI secolo dall’Unione Africana, ha come obiettivo la riforestazione di 500mila ettari di nuova foresta urbana entro il 2030. Concentrato su 30 paesi, tra cui anche alcune città asiatiche, il piano mira a creare tre foreste urbane per paese così da imporre un modello virtuoso da scalare successivamente in un numero crescente di zone residenziali.
Il direttore della Fao Qu Dongyu ha dichiarato che il piano «può contribuire alla riduzione della temperatura dell’aria di 8 °C, a ridurre del 40% i costi associati all’aria condizionata e a migliorare la qualità dell’acqua». Il costo? Il budget preventivato dall’organizzazione internazionale è di un miliardo e mezzo di dollari per 800mila ettari. L’attività di riforestazione, ricordano dalle Nazioni Unite, si sposerà con attività volte alla tutela delle foreste esistenti, inclusi i 300mila ettari di aree già presenti nei suddetti spazi urbani.