Nel solco di una narrativa binaria sul cambiamento climatico si tende spesso ad additare i soliti colpevoli e i soliti salvatori senza riflettere neanche per un attimo sull’effettiva accuratezza di tale suddivisione. I tradizionali mezzi di trasporto giocano il ruolo degli antagonisti, mentre i veicoli elettrici sono i supereroi arrivati per salvarci. Ma cosa accadrebbe se ribaltassimo la frittata e scoprissimo un’opportunità in un settore che in genere non viene mai associato alle soluzioni sostenibili?
Parliamo di aviazione, allora
Ormai da tempo, il trasporto aereo gode di una cattiva reputazione su questi temi. Il termine svedese “flygskam” (ovvero l’imbarazzo per l’impatto ambientale del viaggiare in aereo) ci dice già tutto sulla percezione dell’industria aeronautica in un mondo che sta rapidamente diventando sempre più green.
Tuttavia, oserei dire che non si tratta di un problema riconducibile all’aviazione in sé, quanto piuttosto agli idrocarburi fossili con cui vengono riempiti i serbatoi degli aeroplani. Cambiando questa circostanza, potremmo trasformare il problema in un’opportunità.
L’ormai noto pacchetto “Fit-for-55” offre un ottimo spunto per guardare alla questione esattamente da questa prospettiva. L’obiettivo dell’UE di ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 si traduce in una serie molto concreta di proposte di legge in materia di clima, gestione energetica e trasporti. Il piano di transizione include, tra l’altro, l’iniziativa ReFuelEU Aviation che si prefigge di ridurre l’impronta ambientale del settore aeronautico grazie all’uso dei SAF (biocarburante avanzato ed elettrocarburanti). L’obiettivo è ambizioso e l’iniziativa prevede anche l’obbligo di miscelazione per i fornitori di carburanti. A partire dal 2025, il combustibile aeronautico messo a disposizione negli aeroporti europei deve contenere una percentuale pari al 2% di SAF, che verrà estesa al 5% entro il 2030, al 32% entro il 2040 e al 63% entro il 2050.
Il potenziale dei SAF è pressoché tutto da scoprire, dato che ricoprono solo lo 0,05% del consumo complessivo di carburanti in questo settore. Cosa sono precisamente i SAF (Sustainable aviation fuels) e gli elettrocarburanti (anche detti "e-fuel" o "carburanti sintetici")? Perché è così difficile incorporarli?
SAF ed e-fuel
Il carburante per aviazione sostenibile (SAF) è conosciuto anche con i nomi di carburante non convenzionale per aviazione, carburante per bio-jet o carburante per jet rinnovabile. Grazie alla tecnologia avanzata, la materia prima per produrre i SAF è molto diversificata e comprende, ad esempio, l’olio alimentare, l’olio vegetale, i rifiuti urbani e i gas di scarico. Le caratteristiche chimiche e fisiche dei SAF sono quasi identiche a quelle del combustibile avio tradizionale. Invece l’e-fuel viene prodotto tramite l’elettricità generata da fonti energetiche rinnovabili, acqua e CO2 presente nell’aria.
Sia i SAF che gli e-fuel possono essere miscelati senza problemi con i carburanti tradizionali in qualsiasi percentuale. Entrambe le alternative sono compatibili con i moderni motori a combustione interna e forniscono la potenza necessaria per far volare gli aerei. Le infrastrutture di trasporto, distribuzione e rifornimento dei carburanti già esistenti possono essere utilizzate senza particolari adattamenti. I carburanti con queste proprietà vengono chiamati “carburanti drop in” (ovvero carburanti che possono essere incorporati automaticamente nei sistemi di rifornimento presenti negli aeroporti).
Il vantaggio più grande, specialmente nel contesto della sostenibilità, è il potenziale di produrre minori emissioni di anidride carbonica rispetto al tradizionale cherosene, lungo tutto il ciclo di vita. Se comparati ai combustibili fossili, i SAF consentono una riduzione di tali emissioni che può raggiungere l’80% (a seconda della materia prima sostenibile utilizzata, dal metodo di produzione e della filiera di distribuzione fino all’aeroporto). Alla stregua degli e-fuel sono completamente a impatto zero, in quanto la percentuale di CO2 emessa durante l’utilizzo corrisponde alla percentuale precedentemente abbattuta in fase di produzione.
Dov’è l’inghippo? Sicuramente nel prezzo. Sia i SAF che gli e-fuel sono ancora più cari rispetto al combustibile avio tradizionale. Attualmente il loro costo è ben otto volte maggiore rispetto al normale carburante aeronautico. Come per qualsiasi novità nell’industria high-tech, anche la commercializzazione di questi nuovi carburanti richiede tempo per espandersi e diventare un’opzione effettivamente concorrenziale, capace di influenzare i prezzi di mercato. Al momento, la produzione di carburanti alternativi è limitata, in quanto i costi elevati ne impediscono una diffusione maggiore. Inoltre, la produzione degli e-fuel richiede una grande quantità di energia. Se l’obiettivo è quello di soddisfare il requisito di “impatto zero”, l’energia deve derivare da fonti rinnovabili e questo rappresenta un ulteriore ostacolo.
Come è possibile realizzarlo? Sicuramente i governi devono giocare un ruolo fondamentale. L’aumento della produzione richiede la certezza di politiche a lungo termine che riducano il rischio di investimento; vi è una grande necessità di adeguate soluzioni legislative. Occorre che le autorità e altri investitori forniscano il loro sostegno ad interim attraverso una serie di incentivi. In Europa sono già stati messi in atto alcuni buoni esempi da seguire.
Rendere “green” il settore
Il volo Air France n. 6235 decollato il primo di ottobre dall’aeroporto di Nizza e diretto all’aeroporto di Paris-Orly sembrava essere uno dei tanti. A renderlo speciale era ciò che si celava nel serbatoio del carburante dell’aereo: un 30% di SAF. L’ingrediente segreto era un simbolo concreto della duplice aspirazione di imprese pubbliche e private di affrontare la grande sfida della decarbonizzazione del trasporto aereo.
Il carburante era stato prodotto da rifiuti e residui generati dall’economia circolare dalla compagnia privata francese TotalEnergies.
L’aeroporto di Nizza, da cui è decollato l’aereo, è il secondo più grande in Francia ed è uno dei principali attori dello sviluppo economico nell’Esagono. L’aeroporto è da tempo uno dei soggetti più determinati e attivi nell’implementazione di una politica ambientale che punti a raggiungere, senza compromessi, l’obiettivo di “zero emissioni nette di monossido di carbonio” entro il 2030.
Air France continua ostinatamente a rimarcare che solo una stretta collaborazione tra tutte le parti interessate consentirà ai SAF di diventare il motore principale della decarbonizzazione del settore del trasporto aereo, consentendo così di centrare la sfida di una riduzione significativa delle emissioni di CO₂.
Un altro esempio importante si è avuto a settembre 2021 in Italia. L’azienda energetica Eni e l’aeroporto di Roma (ADR) hanno firmato un accordo strategico per promuovere la decarbonizzazione nel settore aeronautico.
Dal 2014, Eni produce il biocarburante HVO (Hydrotreated Vegetable Oil) di origine vegetale nelle sue bioraffinerie ed è in grado di produrre SAF sfruttando la stessa tecnologia. Dal 2013, l’ADR, il principale scalo aeroportuale italiano, è a impatto zero per quanto riguarda le emissioni di carbonio e si è impegnato a eliminare qualsiasi emissione entro il 2030.
L’accordo tra le due realtà leader italiane include lo sviluppo di progetti di decarbonizzazione e digitalizzazione per dare una spinta alla trasformazione degli aeroporti gestiti da ADR in hub intelligenti. Inoltre, prevede l’introduzione di carburanti sostenibili per l’aviazione nei mesi a venire.
Un altro esempio in questo settore è stato dato dalla Royal Dutch Shell plc, più nota con il nome di Shell. A settembre 2021, la Shell ha annunciato il suo obiettivo di produrre annualmente circa due milioni di tonnellate di SAF entro il 2025. Inoltre, si prevede che almeno il 10 per cento delle vendite mondiali del carburante per aviazione prodotto dall’azienda sia riconducibile ai SAF entro il 2030.
L’annuncio è stato fatto dopo che Shell ha pubblicato due rapporti sul cosiddetto “greening” del settore aeronautico. “Decarbonising Aviation: Cleared for Take-off” (realizzato in collaborazione con Deloitte) e “Decarbonising Aviation: Shell’s Flight Path”. Entrambi i documenti delineano le modalità di riduzione delle emissioni e il progetto di diventare un protagonista del business dell’energia a zero emissioni nette entro il 2050. Questo è stato presentato come l’obiettivo ufficiale della Shell.
Le parole sono state trasformate in azione, nel momento in cui la Shell ha comunicato la costruzione di strutture per il biocarburante presso la Shell Energy and Chemicals Park Rotterdam, Paesi Bassi, con una capacità produttiva di 820mila tonnellate all’anno di carburante a basso tenore di carbonio. Certamente si tratta solo di una goccia nel mare, dato che la richiesta di combustibile avio negli anni precedenti alla pandemia da Covid 2019 ha raggiunto i 330 milioni di tonnellate, ma rimane pur sempre un passo nella giusta direzione.
È palese che la fusione francese tra pubblico e privato, l’accordo italiano e gli ambiziosi piani della Shell spianano la strada verso l’obiettivo finale e mostrano alcuni esempi di come andrebbero fatte le cose.
Nonostante sia i SAF che gli e-fuel siano a una fase piuttosto primordiale del loro sviluppo, non si può ignorare il futuro promettente che hanno davanti a loro. Se tutto va per il verso giusto, l’imbarazzo di prendere un aereo verrà presto sostituito dall’imbarazzo per la diffidenza verso un settore aeronautico green.