La sindrome NIMBY può anche causare un'errata allocazione degli investimenti nei progetti per l'energia rinnovabile, in particolare nell'eolico

La sindrome NIMBY può anche causare un'errata allocazione degli investimenti nei progetti per l'energia rinnovabile, in particolare nell'eolico

Fenomenologia della sindrome "NIMBY" e dei suoi migliori rimedi

Non è un semplice acronimo e presenta "sintomi" simili in tutto il mondo. Cionondimeno, una cosa è certa: non si possono né si devono scavalcare le comunità locali per sviluppare le infrastrutture tanto necessarie

Nel 2019 la Duke University ha bloccato il progetto per la realizzazione di una metropolitana leggera del valore di 3,3 miliardi di dollari a Durham, NC, che avrebbe ridotto la congestione del traffico e l'inquinamento, sostenendo che la linea avrebbe esposto il suo ospedale a interferenze elettromagnetiche ed elettroniche e a vibrazioni sulle costruzioni. All'inizio di quest'anno, la città britannica di York ha respinto un progetto per la demolizione di una sala bingo Mecca e relativa sostituzione con alloggi per studenti. In Italia, i tempi medi di autorizzazione per la costruzione di turbine eoliche vanno da cinque a otto anni: nonostante l'impennata dei prezzi dell'energia nel 2022, il governo ha dovuto scavalcare i veti locali per avviare la costruzione dei tanto attesi generatori da fonti rinnovabili. 

Cosa hanno in comune queste storie? Nonostante le ovvie differenze nelle circostanze socio-politiche e nella natura dei progetti contestati, emergono in modo evidente le crescenti difficoltà nello sviluppo di infrastrutture alquanto necessarie. Spesso a fare opposizione sono i residenti delle zone interessate, preoccupati che i nuovi progetti possano avere ricadute negative sul loro stile di vita; altre volte la sfida proviene da interessi acquisiti che potrebbero essere danneggiati dagli sviluppi proposti.

In molti casi, però, le voci degli oppositori sono più incisive e politicamente attive rispetto a quelle dei sostenitori e riescono a bloccare sviluppi potenzialmente validi, a prescindere dal fatto che possano o meno portare benefici netti alle comunità locali e/o all'intero Paese. Come se non bastasse, questi timori si fondano spesso su motivazioni fragili, come paure ingiustificate o, più in generale, sull'incapacità di comprendere quanto siano elevati gli standard di sicurezza al giorno d'oggi. 

Questo fenomeno è comunemente noto come “NIMBY”, un acronimo che sta per "Not In My Backyard" (letteralmente “non nel mio cortile”), ma vengono usate anche altre espressioni più pittoresche, come CAVE (“Citizens Against Virtually Everything” o "cittadini che si oppongono praticamente a tutto") o BANANA (“Build Absolutely Nothing Anywhere Near Anything”, ossia “non costruire assolutamente nulla vicino a nulla"). Sebbene il NIMBY tenda ad essere un movimento di base, è alquanto probabile che i politici desiderosi di consensi sposino il fenomeno – per convinzione o per opportunismo – intravedendovi la possibilità di scambiare il sostegno a una causa con i voti alle urne. In questo caso si usa l'acronimo NIMTO, cioè "Not In My Term Of Office” (non durante il mio mandato). 

Il problema del NIMBY può essere meglio compreso se analizzato da tre prospettive. Da un punto di vista politico, il NIMBYsmo può essere interpretato come una fonte di legittimità democratica. D’altra parte, c’è forse qualcosa di più democratico della gente comune che si batte per una causa? Allo stesso tempo, le persone che si mobilitano contro le opere pubbliche sono di solito una minoranza, se non un’esigua minoranza. Gli interessi concentrati hanno sempre più voce in capitolo rispetto a quelli diffusi, ma non è detto che vengano necessariamente tutelati più degli altri. Da un punto di vista economico, le infrastrutture possono o meno apportare benefici alla comunità: servono analisi accurate dei costi-benefici, che tengano conto anche di una notevole dose di incertezza. Raramente però ai fautori del NIMBY importa ciò che dicono le analisi costi-benefici, a meno che non sostengano i loro stessi pregiudizi. Infine, dal punto di vista dell’opinione pubblica, se un'infrastruttura presenta chiari benefici, ma molti si mobilitano contro la sua realizzazione, convinti che finirà per arrecare danni economici o ambientali, gli opinionisti e i propugnatori dell'infrastruttura in questione dovrebbero interrogarsi su come ottenere una comunicazione più efficace. 

Il paradosso del NIMBYsmo è che più si diffonde, più aumenta il costo delle opere pubbliche – facendo quindi pendere l’ago della bilancia dei costi-benefici verso un aumento della spesa. Uno studio sulle conseguenze del NIMBY sui progetti legati alle energie rinnovabili, in particolare sull'energia eolica, ha dimostrato che questo fenomeno causa "un'errata allocazione sistematica degli investimenti, che potrebbe aver determinato un incremento dei costi di diffusione dell'energia eolica del 10-29%". Nel caso dell'energia questi dati sono particolarmente preoccupanti, perché potrebbero ostacolare il raggiungimento della neutralità delle emissioni di carbonio e, soprattutto, i tentativi dell'Europa di sostituire il gas russo e conseguire un ragionevole grado di sicurezza energetica. 

Il NIMBYsmo si alimenta anche facendo leva sul ruolo dei governi locali nei processi di autorizzazione per le grandi infrastrutture energetiche, le linee ferroviarie, le strade, ecc. È facile dedurre che, per superare il NIMBY, l’opzione più immediata è quella di scavalcare le comunità locali. Come spesso accade, questa è la soluzione per eccellenza: tuttavia, per quanto semplice e indolore, è una scelta sbagliata.

Il coinvolgimento dei cittadini non è la causa del NIMBY, anzi potrebbe esserne la cura. Le migliori pratiche nella gestione delle infrastrutture ruotano tutte intorno a forme di coinvolgimento dell’opinione pubblica, a una comunicazione trasparente e a un’informazione onesta sugli obiettivi, le procedure, i benefici – ma anche i costi – dell'opera pubblica, sia in fase di costruzione che a lungo termine. Anche i ritorni economici sono importanti, ma prima di tutto i cittadini devono sentirsi considerati e vedere che le loro obiezioni vengono prese in considerazione e, se infondate, vengono debitamente smentite. In fin dei conti, le infrastrutture hanno un impatto sulla vita quotidiana della gente comune: informare gli interessati sugli sviluppi futuri, spiegarne le motivazioni e compensare i potenziali danni sono gli unici strumenti sensati per trasformare il NIMBYsmo in accettazione e partecipazione razionale.


Carlo Stagnaro - È direttore ricerche e studi dell'Istituto Bruno Leoni. Precedentemente è stato capo della segreteria tecnica del ministro presso il ministero dello Sviluppo economico. Si è laureato in Ingegneria per l'ambiente e il territorio presso l'Università di Genova e ha conseguito un dottorato di ricerca in Economia, mercati, istituzioni presso IMT Alti Studi - Lucca. Fa parte della redazione delle riviste Energia e Aspenia ed è membro dell'Academic Advisory Council dell'Institute of Economic Affairs. È editorialista economico dei quotidiani Il Foglio e Il Secolo XIX. Il suo ultimo libro, scritto a quattro mani con Alberto Saravalle, è Contro il sovranismo economico (Rizzoli, 2020).

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