Il panorama normativo europeo che regola la transizione Esg (Environmental, Social, Governance) si fa ogni giorno più articolato. Dopo la ratifica, il 25 settembre 2015, dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile da parte dell’assemblea generale dell’Onu, sono stati effettuati molti altri interventi a livello europeo che spaziano dal Green Deal del 2019, alle linee guida dell’Eba (Autorità bancaria europea), alla Sustainable finance disclosure regulation (Sfdr), fino alla tassonomia delle attività economiche eco-compatibili. Le banche dovranno essere conformi alle aspettative della Bce riguardo la gestione dei rischi climatici e ambientali entro il 2024 il che significa, tra l’altro, che la valutazione dei rischi Esg delle imprese, anche a medio e lungo termine, farà parte della gestione del rischio di credito.
In Italia, secondo Crif-Nomisma, il 60% delle aziende presenta un’adeguatezza Esg medio-bassa. Per converso, sono enormemente cresciute le società benefit. A fine 2022 erano 2.626, in crescita del 54,74% rispetto al 2021. Le benefit, come recita il testo di legge, sono società «che nell’esercizio di un’attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse».
Una definizione che sembra lasciare troppo spazio alla soggettività. Ne è convinto Mattia Ciprian (nella foto sotto, ndr), ceo e fondatore di Modefinance, agenzia di rating fintech che sottolinea come in questo momento ci sia «una bolla nell’offerta di strumenti di valutazione perché oggi chiunque può dichiararsi esperto Esg, consulente Esg, certificatore Esg. Penso che i tre regolatori europei Era, Eiopa ed Esma debbano creare un albo di chi può esprimere rating Esg. La bolla sta nella moltitudine di escamotage che vengono utilizzati, come far nascere società benefit per statuto o l’impiego di valutazioni o di strumenti che non necessariamente hanno una validità scientifica».
Il 2022 è stato anche l’anno del boom dei minibond Esg, strumenti di finanza innovativa praticamente inesistenti fino al 2018. Ne sono stati collocati 60 per un controvalore di 304,95 milioni di euro. In questo caso il rating è, se possibile, ancora più necessario.
«Oggi sul mercato italiano il rating è richiesto quando la controparte è un investitore pubblico o se è coinvolto un garante pubblico come Mcc (Mediocredito centrale) o Sace - spiega Ciprian -. Diventa addirittura un rating pubblico obbligatorio quando il minibond va al mercato retail. La maggior parte dei minibond non gode di rating, visto come un orpello. Secondo me dovrebbe diventare sempre più uno standard di misurazione del rischio, a volte noi possiamo vedere quello che l'investitore e l’intermediario che struttura l’obbligazione non vedono».
Come è cambiato il modo in cui le aziende approcciano una richiesta di credito?
«In passato le aziende che andavano a chiedere credito portavano il piano industriale per una valutazione delle prospettive future. Oggi devono esibire un profilo di sostenibilità ben definito. Nel rapporto creditizio le agenzie di rating sono fondamentali perché garantiscono entrambe le parti, in quanto assolutamente terze. Inoltre, hanno analisti specializzati che sanno cosa chiedere all’azienda e come chiederlo, quindi aiutano nella riduzione dei tempi di raccolta del materiale. Terzo ma non meno importante, le agenzie hanno modelli di rating, nient’altro che un elemento di sintesi, quanto serve al mercato. Siamo investiti di un ruolo importante ancora non compreso, ma fondamentale per quello che sarà la finanza, almeno in Europa».
Le pmi sembrano le aziende più in difficoltà ad accettare la transizione Esg. Come mai?
«Le pmi non sono sufficientemente strutturate, sono ancora culturalmente lontane. È difficile anche solo raccogliere le informazioni, perché dall’altra parte manca la cultura. Alcune ignorano che questo cambiamento le riguardi, altre non vedono la necessità di adeguarsi. A tendere, il rischio principale è il credit crunch, la contrazione del credito. Alla lunga essere poco appetibili da un punto di vista sostenibile potrebbe portare ad una mancanza di finanza perché, per la banca, erogare crediti a un cliente con un profilo Esg non particolarmente buono comporterebbe un abbassamento della qualità Esg del suo portafoglio crediti e quindi costi ulteriori».