Posti di lavoro a rischio a causa dell’elettrificazione? La risposta è “ni”.
Il passaggio all’elettrificazione degli usi finali dell’energia, in particolare nel campo della mobilità urbana, fa parte di una tendenza a lungo termine che punta a ottenere veicoli più sicuri ed efficienti a livello di consumi – una dinamica sostenuta sia dalle normative che dai mercati. Le auto elettriche hanno chiari vantaggi rispetto ai modelli tradizionali: sono più rispettose dell’ambiente, anche se l’elettricità utilizzata per caricare le batterie non è particolarmente ecologica, e richiedono meno interventi di manutenzione rispetto alle vetture con motore a combustione interna (ICE). Tuttavia, il loro costo è ancora superiore rispetto ai veicoli ICE, a fronte di prestazioni per alcuni versi inferiori (ad esempio il tempo di ricarica). Il costo del carburante per il funzionamento di un’auto elettrica è oggi più conveniente rispetto al diesel o alla benzina per chilometro percorso, ma il motivo è da ritrovarsi principalmente nella minore incidenza delle imposte: poiché il passaggio alle auto elettriche prosciugherà parte del gettito fiscale, i responsabili politici potrebbero pensare di aumentare la tassazione sull’elettricità utilizzata per ricaricare tali veicoli, riducendo o annullando così l’attuale vantaggio. Nel Regno Unito, ad esempio, è stata avanzata la proposta di tassare i chilometri percorsi anziché i litri di carburante impiegati.
Con il miglioramento della tecnologia e la graduale correzione dei difetti delle auto elettriche, questi veicoli sono comunque destinati a prendere ulteriormente piede. Ci si chiede quindi se, a livello macro, questo processo possa avere o meno degli impatti sull’occupazione. Per rispondere a questa domanda, occorre adottare una prospettiva più ampia e soppesare gli effetti occupazionali del progresso tecnologico in generale. D’ispirazione in tal senso è il lavoro seminale di Joseph Schumpeter, che ha coniato la nota espressione “distruzione creativa”: gli innovatori distruggono le vecchie industrie e i vecchi posti di lavoro, creandone di nuovi. Un secolo dopo, è evidente che, nel complesso, questo processo non distrugge più posti di lavoro di quanti ne crei, anzi, è vero il contrario. In effetti l’Unione Europea considera l’innovazione – in particolare nei settori della digitalizzazione e della transizione ecologica – come un catalizzatore per la creazione di nuovi posti di lavoro. Va da sé che sia la digitalizzazione che la trasformazione verde si basano su un uso più estensivo dell’elettricità, anche nel settore dei trasporti. Questo presupposto è alla base del programma Next Generation EU, il pacchetto da 700 miliardi di euro che l’Europa ha ideato per promuovere la ripresa post-Covid.
Prima di escludere qualsiasi battuta d’arresto, va però detto che la transizione verso la mobilità elettrica non è semplicemente il risultato di una tecnologia migliore che ne sostituisce una meno efficiente. Questa è solo una faccia della medaglia: dietro l’aumento della domanda di motori elettrici c’è anche un’importante spinta politica, motivata dalle prestazioni ottimali delle auto elettriche a livello ambientale. Questo giustifica da tempo vari tipi di sovvenzioni, sia per la creazione di una rete infrastrutturale di punti di ricarica, sia per la diffusione delle auto elettriche e dei caricabatterie. Tuttavia, con la pubblicazione del nuovo piano “Fit for 55”, la posizione dell’Europa in tema decarbonizzazione dei trasporti si è fatta più aggressiva. Quest’ultima iniziativa intende aggiornare i precedenti obiettivi ambientali per far leva sui pacchetti di sgravi post-Covid e raggiungere target più ambiziosi in termini di riduzione delle emissioni di CO2 e diffusione delle energie rinnovabili. La Commissione Europea ha inoltre presentato un altro progetto, denominato RePowerEU, pensato per fornire agli Stati Membri una serie di strumenti per affrontare l’attuale stretta energetica e la crisi russa. Anche questo documento insiste sulle energie rinnovabili, sulla decarbonizzazione e sull’elettrificazione degli usi finali dell’energia come strada da seguire.
Nell’ambito del piano Fit for 55, dopo un’accesa discussione, è stato adottato un obiettivo intermedio che prevede la messa al bando del motore a combustione interna (ICE) entro il 2035. Nell’Unione Europea, l’industria automobilistica impiega direttamente circa 2,6 milioni di persone. Se si includono i posti di lavoro indiretti, il numero di stipendiati dal settore automotive sale a quasi 13 milioni ed è in costante crescita. Secondo alcuni esperti, la spinta verso la mobilità elettrica e l’eliminazione dell’ICE potrebbero mettere a repentaglio questo enorme segmento dell’economia europea. Ciò avverrebbe principalmente in due modi. Da un lato, l’industria europea è oggi relativamente meno competitiva in fatto di auto elettriche rispetto ai suoi omologhi internazionali. Nel breve periodo quindi un passaggio accelerato all’elettrificazione assicurerebbe un vantaggio competitivo ai produttori non europei. Dall’altro lato, il settore automobilistico europeo è stato a lungo sollecitato dalle normative comunitarie a sviluppare motori sempre più efficienti. Il nuovo standard di emissione Euro7 è ancora oggetto di discussione. Gli investimenti in R&S già effettuati e programmati per migliorare le prestazioni dei tradizionali motori a combustione interna potrebbero rimanere bloccati se, una volta allocati, venisse impedita l’introduzione di nuovi ICE sul mercato europeo. Altri investimenti rischiano di andare sprecati, non tanto per (de)merito quanto per volontà politica, come ad esempio quelli destinati ai combustibili sintetici.
Inoltre, anche la scadenza del 2035 potrebbe sortire effetti indesiderati. La sostituzione delle auto tradizionali con quelle elettriche farà diminuire la domanda di componenti, carburanti tradizionali, assistenza, eccetera, e con l’avvicinarsi del 2035 è plausibile che i produttori di ICE finiscano per chiudere, rendendo quindi sempre più difficile reperire i componenti per queste vetture. Pertanto, anche se il divieto formale entrerà in vigore solo nel 2035, è alquanto probabile che i suoi effetti si manifesteranno molto prima. I posti di lavoro e le imprese soppiantati non si sostituiscono tanto facilmente. Una cosa è l’acquisizione graduale di una tecnologia da parte del mercato, un’altra è un cambiamento improvviso indotto dalla politica. Lo sviluppo di auto elettriche e batterie più efficaci potrebbe comunque far decadere l’intero discorso, dato che queste vetture potrebbero guadagnare terreno anche solo grazie alle migliori prestazioni. Tuttavia, se così non fosse – o per lo meno se questo esito dovesse richiedere più tempo del previsto e andare oltre la soglia del 2035 – i cittadini europei potrebbero ritrovarsi in un circolo vizioso, costretti ad affidarsi a una tecnologia non del tutto soddisfacente, mentre l’industria europea continuerebbe ad arrancare rispetto alla concorrenza.
Non è facile stabilire se il cambiamento radicale negli standard tecnologici avrà o meno un impatto negativo sull’occupazione in Europa, ma questo è sicuramente un rischio che andrebbe tenuto in debita considerazione.